Massa: Gheddafi, una rovina per le Pmi italiane.

Del 2 aprile 2011 da Il Denaro

La guerra civile a Tripoli era solo questione di tempo: gli analisti occidentali sono incapaci di comprendere il Paese. Parola di Leone Massa, presidente dell’AIRIL ( Associazione italiana per i rapporti italo – libici). Secondo l’esperto negli scorsi anni i governi di Roma hanno sacrificato i diritti di tanti connazionali alla ragion di Stato. Era necessario, aggiunge, garantirsi per tempo i rifornimenti di petrolio.

Leone Massa, profondo conoscitore della Libia e un passato da imprenditore, è il presidente dell’AIRIL (Associazione italiana per i rapporti italo – libici). In quest’intervista a Il Denaro commenta gli avvenimenti di questi giorni nel Paese africano e lo scenario dei rapporti economici tra Italia e Libia.

Da quanti anni conosce la Libia?

Dal 1965, quando fui invitato da un albergatore libico che aveva visitato lo stand della mia azienda all’Expo Sud Hotel. In quell’occasione ricevetti una cordiale accoglienza, mi fecero visitare i resti archeologici di Sabratha e Leptis Magna, conobbi varie personalità e mi fu offerta persino l’opportunità di impiantare in Libia un’attività industriale nel settore di mia competenza, concedendomi persino in fitto simbolico, per un dinaro l’anno, il complesso di caserme costruite dagli italiani vicino Homs. Fortunatamente l’appuntamento con il notaio Caramalli per un giovedì andò a vuoto perché quest’ultimo era venuto in vacanza in Italia. Dico fortunatamente in quanto dopo qualche anno, con l’avvento di Gheddafi, avrei perduto tutto.

E poi è ritornato in Libia?

Sì, nel 1972, a seguito di un ordinativo per un impianto a Misurata. All’epoca, c’era un certo fermento di iniziative nel campo edilizio e commerciale. Da quel primo impianto ne sono scaturite altre forniture che si sono interrotte nel 1981, quando alle iniziative private, subentrarono le compagnie governative libiche che a differenza delle prime, non mantennero gli impegni di pagamento. Mi rivolsi alle Istituzioni italiane per veder rispettati i miei diritti ma senza alcun riscontro positivo, per cui dovetti rivolgermi alle stesse Corti libiche per avere giustizia. Cosa che mi fu riconosciuta dopo alcuni anni.

Da quanto tempo manca dalla Libia?

Dal 25 agosto del 2008, tre giorni prima della firma del Trattato di amicizia e partenariato tra Italia e Libia, quando presi parte ad un Comitato misto italo libico per i crediti presso il Ministero dell’Economia a Tripoli. Deve sapere che nel 2000, grazie al Cav. del lavoro Gaetano Cola ed all’allora Presidente di Confindustria Antonio D’Amato, riuscii ad organizzare una riunione a Roma presso Confindustria, di tutte le imprese creditrici della Libia. In quell’occasione fui nominato presidente di un Comitato formato da 5 imprenditori per avere rapporti con le Istituzioni libiche ed italiane al fine di risolvere il problema degli ingenti crediti vantati dalle nostre imprese nei confronti della Libia. Mi detti subito da fare e grazie all’appoggio di tre onorevoli miei amici, Amoruso, Rasi e Di Comite, riuscii ad ottenere un’audizione presso la X° Commissione, attività produttive della Camera. Da quell’occasione in cui trovai al mio fianco soltanto il compianto Cav. del lavoro Icilio Sideri, e nessuno di Confindustria, ho dovuto costatare, con amarezza, quanto poco efficienti e serie fossero le nostre Istituzioni ed organizzazioni. Non a caso molti di noi dovettero convenire che in Confindustria erano privilegiati i grossi gruppi industriali e finanziari,a scapito delle piccole e medie aziende, riconosciute sempre e da tutti come asse portante della nostra economia. Ecco perché in un'altra riunione del 15 novembre 2000 in Confindustria, su proposta del Cav. del lavoro Icilio Sideri, si convenne di fondare un’associazione, l’AIRIL, che fosse stata indipendente da certi conflitti di interessi. Sarebbe troppo lungo raccontarvi tutte le mie esperienze vissute dopo la costituzione dell’associazione avvenuta il 10 gennaio 2001 e le deludenti riunioni dei Comitati misti italo libici per i crediti succedutisi dal 2001 al 2008 ai quali ho partecipato su invito del nostro Ministero degli Esteri.

Mettendo da parte la situazione dei crediti delle imprese italiane, per cui ci riserviamo di incontrarla in altra occasione, ci preme conoscere il suo pensiero sugli avvenimenti di questi giorni.

Me li aspettavo! Non ho mai prestato fede a notizie che venivano riportate da quotidiani o dai mass media, né ho pronunciato giudizi solo per sentito dire ma soltanto dopo la conoscenza personale di uomini e fatti. Anche in questo caso si deve avere una correttezza intellettuale senza pregiudizi di sorta. Ognuno di noi non è esente da pecche e va rispettato se, a sua volta, rispetta gli altri. Ecco il perché, nel mio lungo rapporto con i libici, mi sono state riconosciute integrità morale e sincerità, a volte espresse anche con durezza ma certamente mai improntate ad interessi personali o di convenienza. Non altrettanto ho potuto costatare nei rapporti bilaterali fra Italia e Libia. Bisogna non confondere le situazioni interne libiche con quelle internazionali né quelle italiane da quelle libiche. La rivoluzione di Gheddafi fu incruenta e precedette di 24 ore un colpo di stato organizzato dall’allora establishment al potere per allontanare il vecchio re Idris e subentrando a quest’ultimo, godere delle grandi opportunità economiche provenienti dal petrolio, specialmente dopo che Enrico Mattei offrì il fifty fifty sui royalty dell’oro nero.

Come avvenuto anche da noi ed in altri Paesi, al suo avvento Gheddafi fece presa sulla popolazione libica, fondando la sua azione sull’appartenenza del proprio popolo alla religione islamica. Infatti abolì immediatamente tutte le leggi esistenti riconoscendo esclusivamente quella dettata dal Corano. Non parliamo di fatti che ci riguardano come quelli del ritorno in Italia dei resti mortali dei nostri soldati o della cacciata dei ventimila italiani residenti in Libia con la confisca di tutti i loro beni, ma del rapporto con il proprio popolo. Non gli si poteva dare torto quando nel suo Libro Verde dichiarava che nelle democrazie occidentali i partiti politici erano l’aborto della stessa democrazia, perché ciascuno di essi si comportava come le tribù e le cabile di quel Paese, agendo esclusivamente per i propri interessi e non per il bene comune.

Istituì e volle che i propri cittadini si riunissero in Comitati popolari( lejne sciabìa) le cui decisioni venivano portate al Comitato Generale del Popolo( lejna jabìa aamah). Dopo qualche anno i libici si accorsero che non contavano un bel nulla in quanto ogni decisione era presa dal rais.

Già dalla metà degli anni ’70 il regime mostrò i denti. Fu istituita la lejna taurìa per combattere la corruzione, e non solo, anche gli oppositori allo stesso regime. Grazie all’influenza sovietica e di altri Paesi comunisti, Gheddafi si dotò di una polizia segreta molto efficiente e furono stroncati in tempo (anche per merito dei nostri servizi segreti) gli oltre 300 attentati alla sua persona

Quando, a quel tempo, fui ospite di un libico presso la sua, questi portandomi fuori, nel giardino, mi disse di temere anche i suoi figli che avrebbero potuto riportare alla polizia segreta, dietro compenso, i discorsi intercossi tra di noi.

Vi sono state torture, impiccagioni e fucilazioni di oppositori al regime e non ultimo quello avvenuto nel 95 a Derna quando circa 3000 libici attentarono alla sua vita. Fu uccisa una sua amazzone e lo colpirono al femore ma non morì. Alcuni dei ribelli che sopravvissero, gli giurarono la morte come altri sopravvissuti in precedenza che gli avevano gli gridato tale invettiva.

Ho sempre pensato che un giorno od un altro in Libia sarebbe scoppiata una guerra civile per vecchi rancori.

A differenza di certi osservatori non mi sono mai fatto influenzare dalle grandi dimostrazioni di popolo inneggianti al rais perché alcuni di questi partecipanti mi avevano confidato che erano obbligati con la forza ad essere presenti. Uno di loro mi disse persino che si era macchiato il bianco vestito libico in quanto gli era stato consegnato un fucile o un kalashnikov nuovo ancora protetto da grassi o oli.

Non a caso ovunque Gheddafi si fosse recato, si era fatto sempre accompagnare da circa 300 agenti segreti della sua polizia ed in ogni incontro era preceduto da un suo sosia, come avvenuto nel 2009 in occasione della sua visita in Confindustria. L’attentato di Derna, come la ribellione di Bengasi di qualche anno fa, quest’ultima attribuita alla T-shirt di Calderoli, passarono all’opinione pubblica come azioni degli integralisti islamici e di Al Qaeda.

Il popolo libico, dopo gli avvenimenti nei due Paesi confinanti, Egitto e Tunisia, ha trovato il coraggio di ribellarsi, pur sapendo che il dittatore disponeva di armi micidiali.

Come si spiega che qui in Italia non abbiamo mai avuto notizie di torture, attentati e quanto altro, ma solo quelle di diffamazioni e ricatti rivolti al nostro Paese come gli eccidi compiuti dagli italiani nel periodo coloniale e le minacce e l’invio di clandestini?

La nostra politica estera, specialmente quella nei confronti dei Paesi fornitori di petrolio e gas, è stata sempre condizionata dall’ENI. Ricordiamoci che Enrico Mattei, nel primo incontro con gli ambasciatori prelevati dalla Farnesina e assunti nella sua società, disse che l’ENI ricopriva una funzione vitale per il progresso economico ed industriale del nostro Paese e che quindi la vera Farnesina doveva essere l’ENI.

Un Primo Consigliere d’Ambasciata mi confidò , alla fine degli anni ’70, che sia il nostro ambasciatore, sia lui stesso quando quest’ultimo era fuori sede, non potevano assumere alcuna iniziativa senza prima consultare il Direttore dell’Agip in quel Paese.

Nel 2002, l’Ambasciatore Badini, Direttore del Dipartimento dei Paesi del Mediterraneo e M.O., alle mie rimostranze sulla melliflua e subalterna azione nei confronti del Governo libico, in difesa delle imprese creditrici della Libia, fu ancora più esplicito dicendomi :” Massa, dobbiamo pensare anche e soprattutto ai 2500 miliardi di investimenti dell’ENI in quel Paese”.

Non c’è da meravigliarsi se certe notizie non sono mai apparse sui giornali o televisioni. Anche le denunce di torture e privazione della libertà perpetrate nei confronti di nostri connazionali che si erano recati in Libia per lavoro, sono state sacrificate per un’ indegna e immorale difesa di certi interessi di lobbies economiche e finanziarie. Quando negli anni ’80 fece ritorno in Italia qualche decina di nostri imprenditori che erano finiti in galera in Libia, questi furono interrogati dalla Polizia di frontiera che redisse un verbale per ciascuno di essi. Ne avete mai letto il contenuto? C’è stato mai un magistrato che abbia preso qualche iniziativa su quanto dichiarato?

Tutto è passato sotto silenzio. Non bisognava disturbare il manovratore. Eppure, qualcheduno di questi imprenditori è ,ancora oggi, sotto tutela dell’ufficio di igiene mentale a seguito di quanto subìto in Libia. Qualche altro si è tolto la vita.

In 42 anni i Governi italiani, formati da partiti di varia estrazione, non hanno mai saputo farsi rispettare, anzi hanno sempre dimostrato una sudditanza verso quel regime. I cosiddetti fondi neridell’ENI finanziavano tutti i partiti, come Gheddafi il terrorismo internazionale, non escluso quello italiano. Ci fu un periodo durante il quale erano presenti in Italia 1343 terroristi libici, segnalati dai nostri servizi segreti a chi di competenza ma tale avvertimento rimase in un cassetto, sempre in ossequio ai buoni rapporti bilaterali da tenere con la Libia in nome della necessità di idrocarburi. Eppure, dopo qualche mese, ci fu l’atto terroristico e l’omicidio di Via Veneto e a Natale l’eccidio di Fiumicino. Tante morti che si sarebbero potute evitare!

Se non credete alle mie parole, leggete un libro scritto da un imprenditore sulle sue esperienze in Libia, Giuseppe Moreschi (edizioni Del Noce), intitolato 499, che sono i giorni passati in Libia senza poter ritornare in Italia, dopo che gli avevano sequestrato il cantiere con tutte le attrezzature. Egli descrive la sua amarezza quando, essendo nell’Ambasciata di Italia a Tripoli, sentiva le grida di coloro che venivano torturati provenienti dal Palazzo di fronte l’Ambasciata.

Non credo che anche questi avvenimenti non fossero riportati in Italia dai nostri ambasciatori; certamente anche in tali occasioni, tutto è stato sottaciuto all’opinione pubblica.

Non c’è da meravigliarsi se centinaia o migliaia di offese dirette ed indirette sia nei confronti di singoli, fossero essi italiani o gli stessi libici, sia verso la nostra Nazione, sono state subite senza alzare un dito, anzi si è fatto a gara per difendere un dittatore e farsi bello con lui.

Non ho avuto scrupoli a denunciare la prostituzione dei nostri Governi nei confronti del leader libico, dal mio primo articolo intitolato “l’Italia, ancora oggi sotto il gioco dell’amante libica”. Un sottosegretario agli Esteri, il Sen. Mantica, mi disse: “Massa, cosa vuole? Mica possiamo inviare i nostri cacciatorpedinieri!”. Una tale classe politica è giusto che meriti altre offese da Gheddafi come quella di un nostro ministro degli Esteri che fu ricevuto a Tripoli dal Ministro del Pesce! Oppure un nostro Presidente del Consiglio che in occasione della conferenza Euro- Africana de Il Cairo, attese sino alle 2 di notte per essere ricevuto da Gheddafi! Il leader libico, furbo ed intelligente come sempre, sapeva con chi aveva a che fare e lo trattava di conseguenza. Nessuno di questi nostri personaggi ha mai pensato di rappresentare un popolo che doveva essere rispettato. Leggete il resoconto dell’intervento di Gheddafi a Palazzo Giustiniani nel 2009 durante il quale disse:” quale libico nel 1911 avrebbe mai pensato che nel 2009 l’Italia sarebbe dipesa dalla Libia”. Ebbene, quel discorso, fu applaudito da tutti i Senatori che alla fine, fecero a gara a dare la mano ed abbracciare ildittatore. Vera e propria prostituzione!

In quella occasione scrissi un breve sketch per gli amici che terminava così: Berlusconi è andato a Villa Pamphili per salutare Gheddafi in partenza per la Libia e dopo le fotografie di rito il cantante Apicella ha intonato con la propria chitarra il nostro inno nazionale, cantandolo con queste parole: Fratelli d’Italia, l’Italia non desta, di cener copiosa s’è cosparsa la testa, dov’è la vittoria, s’è persa memoria, schiava di Libia, Allah la creò. Parapa, parapa, papà..

 

 

 

 

 

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