“Da oggi non vi paghiamo”A noi restava solo il ritorno

di Eugenio Bruno

Del 12 giugno 2009 da Il Sole 24 Ore

Nei racconti di chi in Libia c’è andato, ha lavorato, ha investito sudore e capitali ma poi è stato costretto ad abbandonarla in tutta fretta, c’è una data che ritorna di continuo a mò di spartiacque: il 1980. L’anno delle nazionalizzazioni e del blocco di trasferimenti di valuta all’estero. Prima di allora la “Jamahiryya” era un Paese amico con cui fare affari e lavorare bene; dopo è diventato un posto da cui fuggire il prima possibile, lasciando sul campo crediti insoluti e macchinari inutilizzati. Tanto da rivelarsi,per alcuni imprenditori, un punto di non ritorno.

È il caso di Romano Morgagni, ravennate, con un passato nel campo dei mangimi. Il quale, anche a causa del mancato pagamento di quanto vantato nei confronti dello Stato africano, è stato addirittura costretto a liquidare la propria attività. È da quasi 30 anni, infatti, che Morgagni aspetta il pagamento di 2,4 milioni di dollari. Che, nel frattempo, al lordo di interessi e rivalutazioni sono diventati oltre nove milioni di euro.

Pendenze peraltro riconosciute con una sentenza del Tribunale di Tripoli nel ’81 e giudicate di classe<A> un decennio fa dalla banca italo- araba Ubae e della società mista Ali. “ Nonostante avessimo uno stabilimento all’avanguardia sul porto di Ravenna, per le conseguenze di quell’esperienza la mia azienda è cessata” rimugina amaramente Morgagni.

Ma anche chi è riuscito ad andare avanti non è affatto disposto a rinunciare a quanto maturato. “Pensi quanto potrebbero farci comodo, in una fase del genere, i tre milioni che non abbiamo mai incassato”. A dirlo è Nicola Sideri, presidente della San Marco Spa di Lanciano (Chieti). Dove la crisi si sente eccome: “da otto- nove mesi lavoriamo con circa il 45% dei ricavi in meno rispetto all’anno precedente, una novantina di dipendenti in cassa integrazione sui circa 200 e le banche che fanno quello che fanno” sottolinea Sideri. L a San Marco, che all’epoca forniva recinzioni per l’agricoltura e costruiva capannoni sia a uso stalla che a uso industriale, oggi collabora con Iveco e Fiat nella costruzione e blindatura di mezzi militari( e non).

Nel ripercorrere le tappe salienti dell’esperienza in Cirenaica dell’azienda di famiglia, Sideri racconta di “rapporti eccellenti con i progetti libici” e di uno stabilimento con circa 200 lavoratori(il 70% dei quali italiani) che ha funzionato a pieno regime fino all’84. Dopodichè è arrivato lo stop ai pagamenti da parte del governo del colonnello. Che 25 anni fa ammontavano a oltre 1,1 milioni di euro, oggi divenuti 3,2 milioni di euro come riconosciuto in una sentenza esecutiva emessa dal Tribunale di Lanciano. Alla domanda su che cosa si aspetta dall’esecutivo in carica, l’imprenditore abruzzese sorride scettico. E, sospirando,aggiunge:” che almeno ci diano la garanzia reale dello Stato su quelle somme in modo da portarla in banca e scontarla per avere credito…”

Non è un esempio fatto a caso il suo. A prevederlo sono i 3 Ddl fermi da mesi presso la Commissione Bilancio del Senato( e altrettanti ne furono presentati durante la scorsa legislatura) perché si attende il via libera dell’esecutivo sulla copertura finanziaria di 650 milioni di euro in sette anni necessari a ristorare le 120 aziende interessate. Il compito di rammentarlo se lo assume Sossio Pezzullo. Altro imprenditore in attesa di “buone nuove” da Tripoli, con un passato da presidente dell’associazione industriali di Salerno e un presente alla guida dell’Airil (Associazione Italiana per i Rapporti Italo – Libici), l’ente che dal 2002 si batte per tale causa. Pure per Pezzullo molini pastifici mangimifici Spa l’annus horribilis è stato l’80.

Di quei 35 milioni di dollari allora vantati l’imprenditore salernitano finora non ha visto neanche un centesimo. “E non ho potuto fare neanche causa –ricorda- visto che pure gli avvocati erano stati nazionalizzati. Fino al ’92 quando ho adito la giustizia ottenendo il riconoscimento dei miei crediti”. Ma il valore aggiunto della sua testimonianza è un altro:il viaggio compiuto, da senatore, nel ’90 con altri cinque parlamentari per”sondare” il terreno di un eventuale accordo con il colonnello. “Siamo rimasti quattro giorni, abbiamo incontrato il sindaco di Tripoli e il Ministro degli Esteri. Quando stavamo per ritornare in patria -spiega- siamo stati ricevuti sotto una tenda da Gheddafi che si limitò a precisare “ogni accordo deve passare per il riconoscimento dei danni prodotti alla Libia dalla guerra e dal colonialismo”

Riconoscimento che c’è stato nel 2008 con l’accordo da 5 miliardi sottoscritto a Bengasi dal premier Silvio Berlusconi. Ma che non è servito a superare l’impasse sulle somme ferme nei forzieri libici. Come fa notare Leone Massa( a questo proposito si veda anche il Sole 24 Ore del 2 settembre 2008), ex presidente Airil e a sua volta creditore insoluto. Dei 95 mila dollari maturati nell’81, dopo tre gradi di giudizio( “in un processo in cui un avvocato difendeva me e il fratello il governo libico”, specifica)Massa se ne è visti riconosciuti 407 mila. Beffa finale: in banca c’erano solo 123mila dinari( più o meno 100 mila dollari). E anche quelli sono rimasti aldilà del Mediterraneo.

Niente rimborsi

Da due legislature i Ddl sulla contesa non vanno avanti: manca la garanzia sulla copertura finanziaria per 650 milioni in sette anni.

Il contenzioso:

650 milioni €

I crediti non riscossi

A tanto ammontano i crediti che la Libia ha nei confronti delle imprese italiane , calcolando anche gli interessi e la rivalutazione .

Recentemente il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi ha chiesto al Ministero dell’Economia di trovare le risorse per restituire i crediti alle imprese in 7 anni , dunque poco meno di 93 milioni di euro l’anno.

120

Le imprese creditrici

Tante sono le imprese italiane che vantano ancora crediti nei confronti della Libia

5 miliardi $

Il rimborso alla Libia

A tanto ammontano le risorse che l’Italia si è impegnata a dare a Gheddafi nei prossimi 25 anni.

3 I Ddl per restituire le risorse

Tanti sono i disegni di legge fermi da mesi presso la Commissione Bilancio del Senato ( e altrettanti ne furono presentati durante la scorsa legislatura) perché si attende via libera dell’esecutivo sulla copertura finanziaria di 650 milioni di euro in sette anni necessari a ristorare le 120 aziende interessate.


 

 

 

 

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