Roma - Tripoli, promesse da Marinai

di Guido Ruotolo

Del 23 agosto 2006 da La Stampa

Campagna elettorale, inizio aprile scorso. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ospite di «Matrix» su Canale 5, annuncia che i «soldi si dovranno trovare», che «la grande opera», l'autostrada, si dovrà fare. L'Italia, si sbilancia in uno degli ultimi Consigli dei ministri del centrodestra, si impegna a «chiudere definitivamente» il contenzioso con la Libia. L'aria che tirava, in quella vigilia di campagna elettorale, era quella di un cambio di maggioranza di governo. E l'impegno a onorare la promessa del «grande gesto» riparatore – un'autostrada del mare, quasi duemila chilometri, valore molto approssimativo di tre miliardi di euro -, sarebbe finito per essere ereditato dalla nuova coalizione dell'Ulivo. La storia degli impegni e delle promesse non mantenute, in realtà, aveva avuto un suo prologo proprio durante il primo governo del centrosinistra. Il 4 luglio del 1998, a Tripoli, il ministro degli Esteri, Lamberto Dini, sottoscrive con il suo omologo libico, Ornar Mustafà Mountasser, un documento, per sanare la ferita ancora aperta: il periodo coloniale italiano. «Il governo italiano - si legge nel documento - esprime il proprio rammarico per le sofferenze ar­ recate al popolo libico a seguito della colonizzazione italiana». In quel protocollo, il «gran gesto» non c'è, non è neppure abbozzato. Perché il «gran gesto» nascerà solo tre anni dopo. Anche se, va detto, ancora oggi una «verità» storica su quel «parto» non è stata accertata, nel senso che, a sentire la versione italiana, si sarebbe trattato di un grande «equivoco». Autunno 2001. Il ministro degli Esteri, Renato Ruggiero, si ritrova a Tripoli e al termine di un incon­ tro ai massimi livelli rientra a Roma con l'impegno a realizzare il «gran gesto». La versione italiana è ferma nel sostenere che l'impegno era limitato a uno studio di fattibilità dell'opera. Nulla di più. Per Tripoli, invece, l'accordo era molto più impegnativo. Torniamo al 1998. Con l'intesa Mountasser-Dini, Roma si impegnò a realizzare una serie di iniziative, dalla ricerca dei deportati in Italia, alla realizzazione di un ospedale ortopedico di Bengasi. Dai finanziamenti per iniziative culturali e di sviluppo, come le dieci missioni archeologiche finanziate ogni anno, allo sminamento di diverse aree, alla restituzione dei reperti archeologici trasferiti dalla Libia (la Venere di Cirene è bloccata in Italia per un contenzioso aperto al Tar). Doveva nascere anche una società mista italo-libica, che avrebbe dovuto creare fondi, da dirottare in iniziative sociali, attraverso una quota fissa che le imprese italiane dovevano sottoscrivere sulla base di una percentuale dell'importo delle commesse e degli appalti. Ma questa società, l'«Ali», non è mai decollata. Il «gran gesto» riparatore sarebbe stato proposto proprio per superare la vicenda «Ali». Negli anni dell'emergenza «clandestini», l'Italia ha sempre «accantonato» la questione del gesto riparatore, invocato dal leader Muammer Gheddafi nell' incontro sotto la tenda con Silvio Berlusconi (28 ottobre 2002). Il presidente del Consiglio, raccontano le cronache, rimase «spiazzato» da quella richiesta. Forse, sperando in un ripensamento del Leader, si è perso velatamente tempo, anche perché, nel frattempo, l'Italia aveva «adottato» la Libia, aiutandola nella sua battaglia per uscire dall'isolamento e dagli embarghi. Le missioni dell'Ufficio tecnico del ministero delle Infrastrutture del ministro Lunardi, non hanno contribuito a sbloccare la situazione. Ma per i libici, la promessa italiana non mantenuta è stata vissuta come un'offesa. Nel novembre del 2004, Tripoli ha richiamato il suo ambasciatore. E ha iniziato a ridimensionare gli appalti e le commesse italiane. Altro che lasciar partire flotte di clandestini. Le statistiche ufficiali raccontano di una «stretta» economica per le nostre imprese. Che erano leader nel campo del petrolio e del gas. Ma che oggi hanno perso quote di mercato nei confronti di imprese americane, inglesi, tedesche. Il presidente Prodi e il ministro D'Alema stanno lavorando per superare le «incomprensioni» e il grande «equivoco». Nel paniere delle questioni non risolte ci sono anche i crediti vantati dalle nostre imprese (600 milioni di euro), gli indennizzi per gli italiani espulsi dalla Libia di Gheddafi.

 

 

 

 

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