Le aziende creditrici della Libia portano in tribunale lo Stato Italiano

di Giorgio De Neri

Del 18 giugno 2006 da L' Opinione

Se non paga Gheddafi pagherà lo stato italiano che non si è mai preoccupato di fare un qualsivoglia sgarbo al dittatore libico.Hanno aspettato pazientemente anche per 30 anni le aziende creditrici di controparti libiche oltre Mediterraneo presiedute in consorzio da Leone Massa. Adesso hanno deciso di passare ai fatti, visto che qualcuno alla Farnesina ha spesso fatto il doppio gioco. Si è svolta ieri, presso la seconda sezione del Tribunale civile di Roma, la prima udienza della causa intentata da 12 aziende creditrici della Libia contro lo Stato Italiano. I crediti, risalenti ai primi anni Ottanta, sono in gran parte suffragati da sentenze definitive delle stesse Corti libiche o da depositi bancari in quel Paese e mai trasferiti. Il motivo di tali sofferenze è, da anni, la richiesta libica dei danni di guerra e del periodo coloniale. Invero, già nel ’56 l’Italia provvide a tale risarcimento, disconosciuto poi da Gheddafi, al suo avvento al potere in Libia. Le imprese creditrici della Libia sono, quindi, da anni ostaggio di quel Paese e molte di esse, nel frattempo, sono anche fallite con enorme perdita di posti di lavoro. Il 28 ottobre 2002 il governo italiano e quello libico conclusero un accordo, segretato, che prevedeva il pagamento da parte libica dei crediti alle imprese entro il 31 marzo 2003, nonché la chiusura del contenzioso sui danni di guerra col pagamento da parte dello Stato italiano di 60 milioni di euro. Gli impegni non sono stati rispettati e alcune imprese creditrici, ormai stanche ed offese da ipotetiche proposte di accordi forfetari non degne di uno Stato di diritto, hanno fatto ricorso alle Corti nazionali ed internazionali per vedere, dopo tanti anni, rispettati i loro diritti. All’udienza di stamani si è costituita l’avvocatura dello Stato a difesa della presidenza del Consiglio, del ministero dell’Economia e del ministero degli Esteri, chiamati in causa dai ricorsi. Il giudice, constatata la regolarità di notifica, ha dato tempo trenta giorni alle parti per la replica. Al di là delle motivazioni addotte dalle parti ci auguriamo che non escano fuori scandali ancor più gravi di quelli del calcio. Immaginate se venisse alla luce il fatto che lo Stato, per salvaguardare gli investimenti e gli interessi di certi gruppi (Eni, Fiat...) in Libia, avesse sacrificato quelli di tante altre aziende.

 

 

 

 

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