Il Senato ascolta gli imprenditori truffati dalla Libia

di Ruggiero Capone

Del 16 luglio 2003 da  L' Opinione

“L’audizione è il punto d’arrivo del lungo calvario subito a partire dalla fine degli anni ’70 dalle aziende italiane operanti in Libia”, ha dichiarato alla stampa Leone Massa, prima d’essere ascoltato dalle commissioni III e X del Senato. Leone Massa presiede l’Airil, associazione di imprenditori nata per risolvere l’ultradecennale vicenda del governo Gheddafi che si rifiuta di pagare i propri debiti. “Non solo a causa del sequestro dei beni, della nazionalizzazione delle imprese e delle altre innumerevoli misure vessatorie adottate dal governo libico nei confronti degli imprenditori italiani - ha detto Massa in audizione - ma, soprattutto, dalla ferma determinazione delle autorità di Tripoli nel non rispettare gli impegni assunti di volta in volta con il governo italiano, perpetuando il blocco dei pagamenti dei crediti delle aziende italiane, accertati dagli stessi tribunali libici. Le conseguenze pratiche di questa ultraventennale situazione - ha continuato il rappresentante Airil - sono stati i fallimenti e le crisi delle aziende italiane titolari di crediti nei confronti della Libia, come ascolterete dalle testimonianze di alcuni degli imprenditori che hanno avuto la sventura di cadere in questo meccanismo infernale”. Ed i casi si sprecano. Emerge il peggior volto della politica estera italiana. Quello dei dirigenti della Farnesina che si trastullavano tra lusso ed amanti, ignorando il grido d’aiuto di tanti imprenditori italiani che venivano arrestati, derubati e torturati per ordine di Gheddafi: quel raìs berbero che per non pagare merci e lavori italiani prometteva pagamenti alla consegna del bene, e poi faceva arrestare ogni creditore italiano che transitava su suolo libico. Una vergogna che ricade tutta sulla nostra classe dirigente, quella che aveva “moglie americana ed amante libica”: amante metaforica s’intende, e per dire che centinaia d’alti funzionari dello Stato italiano e personaggi del mondo dell’informazione erano e sono sui libri paga tripolini. E se da trent’anni i nostri imprenditori attendono invano ben 1.700 miliardi di vecchie lire (tra rivalutazioni ed interessi) le colpe sono tutte di quella dirigenza corrotta che ha impedito una ferma ed autorevole posizione politica dei tanti governi che si sono avvicendati. 

Ad ascoltare il racconto di Leone Massa c’erano in Senato tanti parlamentari indignati dalla vicenda: come i senatori Francesco Pontone, Guglielmo Castagnetti, Franco Danieli, Romualdo Coviello, Ida D’Ippolito, Pasquale Nessa, Stanislao Sambin, Franco Mugnai, e tanti altri che hanno subito dato la loro disponibilità. “La conseguenza politica è stato il sostanziale discredito che lo Stato italiano ha conseguito agli occhi dei suoi cittadini - ha continuato Massa - per la manifesta incapacità di far rispettare gli impegni internazionali ripetutamente sottoscritti da un altro paese. Quella giuridica, infine, sarà molto probabilmente la scelta dei responsabili delle aziende italiane turlupinate dalle autorità libiche a causa della condotta passiva di quelle italiane di adire le vie giudiziarie, per richiedere dallo Stato italiano, in attesa di vedere rispettati gli accordi internazionali, il completo soddisfacimento dei crediti vantati”. E dopo Leone Massa sono stati ascoltati De Camillis, Giamminuti e Pezzullo (tre imprenditori che vantano crediti libici per decine di miliardi). La richiesta che avanzano è dunque chiara. “Se il governo italiano vuole rimuovere dal tavolo della politica nei confronti del governo libico - sostiene Massa - il nodo delle legittime rivendicazioni degli imprenditori italiani, non deve far altro che assumersi le proprie responsabilità: anticipare il pagamento dei crediti già ampiamente verificati e certificati. Invito la Commissione ad acquisire le schede dei rapporti Ali e Ubae relative ai crediti riconosciuti a ciascuna azienda”. L’Ubae è la banca araba, che ha stilato una minuziosa lista dei creditori. Le prove contro i libici sono schiaccianti, ed i parlamentari sembra che questa volta siano disposti ad uno scatto d’amor patrio.

 

 

 

 

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