Caro imprenditore ecco come tutelarti dal disastro libico

di Claudio Buzzi

Del 10 marzo 2011 da L' Opinione

Nessuno può sapere, oggi, in che direzione stiano evolvendo i drammatici avvenimenti in Libia. Troppo numerose le variabili in gioco e troppo grossi gli interessi. Non intendo riferirmi ai complessi scenari geopolitici, analisi di cui un numero esorbitante di instant-expert sta riempiendo i mass-media.
L’incertezza a cui voglio fare riferimento è quella che stanno vivendo tutte quelle persone la cui vita lavorativa e professionale è stata colpita da questo tsunami. Se l’esperienza diretta ha ancora qualche utilità, e personalmente credo ne abbia moltissima, proverei a dare qualche piccolo, ma forse prezioso, consiglio ai tanti italiani il cui lavoro il cui personale sacrificio e prospettiva professionale sono stati gravemente compromessi dal collasso del regime tripolino.
Le operazioni di evacuazione stanno terminando e mi pare di risentire con crudele ripetitività i commenti di coloro che questa esperienza avevano già attraversato negli anni Settanta e Ottanta. Le frasi e i giudizi sono gli stessi, ripetitivi e, ahimè, facilmente prevedibili: la sensazione di essere stati abbandonati, la speranza di ritornare immediatamente al proprio lavoro in Libia, l’amarezza di vedere il proprio cantiere devastato, la preoccupazione per i pagamenti sospesi e anche, va detto con forza, la gratitudine verso tanti libici pronti a correre rischi mortali per aiutare i propri amici italiani.
Cari amici imprenditori e lavoratori italiani, reduci da questa brutta avventura, lasciate che mi feliciti con voi per il vostro ritorno ma non vogliatemene, se provo a darvi in questo triste momento qualche consiglio. Come detto l’esperienza può essere molto utile.Primo consiglio: ragionate fin da subito sul lungo periodo.
Nell’affrontare le emergenze che nasceranno dopo questa disavventura, cominciate a prendere in considerazione soluzioni operative basate sull’assunto che, qualunque cosa sia ciò che avete lasciato in Libia, non potrete affrontarne i problemi per lungo, forse lunghissimo, tempo. Sia che si tratti di opere o cantieri sospesi, di transazioni agli ultimi passaggi o contratti appena firmati potrebbero passare anni prima che si ricostituisca una cornice politico-diplomatico-economica in grado di permettere una ripartenza o una soluzione economica qualsiasi.
Secondo consiglio: finché avete la memoria fresca e tutti i documenti a portata di mano costituite un chiaro e documentato dossier della situazione che avete lasciato in Libia. Ormai è del tutto evidente che la situazione politica complessiva di questo paese non ritornerà mai più quella precedente.
Preparatevi quindi a dover illustrare le infinite diverse questioni attinenti il vostro operato a persone e autorità diverse, che non avranno a loro disposizione alcuna documentazione e probabilmente neppure il personale in grado di aiutare. Mancheranno contabilità, registri, documenti di qualsiasi tipo.
Potreste tranquillamente venir accusati, magari a scopo ricattatorio, di qualsiasi malversazione: da tasse libiche non versate a personale locale non pagato. Solo una documentazione ferrea vi potrà aiutare.Terzo: cercate di creare un network tra tutti voi “reduci” che possa dare forza alle vostre future posizioni.
Questo è un aspetto importante che spesso gli imprenditori, forti delle proprie conoscenze ed esperienze, tendono a non voler considerare. Per tanti motivi non vogliono mettere in comune aspetti e informazioni che essi ritengono potenzialmente in grado di garantire, a se stessi, soluzioni ad hoc.
Questo è un grosso errore. Apre le porte a tutti coloro che sulle vostre sventure vorranno speculare, a coloro che inventeranno crediti e cantieri per provare a inserirsi tra voi, lascerà i meno esperti alla mercé di tutti quegli intrallazzatori che tra non molto, come avvoltoi, cominceranno a volare sulle vostre teste.
Statene certi: ci sarà chi vi prometterà i mari e chi vi garantirà i monti, chi giurerà di essere in grado di aggirare qualsiasi embargo e chi inevitabilmente conoscerà il figlio, la moglie o l’amante del prossimo importante esponente politico libico.E, infine, il consiglio più amaro.
Quello che nessuno vorrebbe sentire quando, sicuro di vivere in un paese civile e moderno, si rivolge con fiducia al proprio Stato, al proprio Governo, alle proprie istituzioni e, magari, anche a quelle organizzazioni che tanto vi avevano spinto verso questo mercato. A loro chiederete aiuto nella certezza che i vostri problemi verranno valutati e compresi e che una soluzione sarà impostata.
Ecco il consiglio: scordatevi tutto questo. Ora che la botta è ancora fresca fate un elenco di tutti coloro che vi hanno spinto ad investire in Libia. Di sicuro ve li ricordate ancora coloro che vi promettevano l’eldorado, che organizzavano meeting, missioni e vi hanno sempre detto che ormai era tutta una festa.
Sappiate che quelli sono gli amici della bella stagione. Quando comincia a piovere scompaiono tutti, e magari troverete anche qualcuno che, come è già successo, vi giudicherà dei “magliari”.Se nelle mie parole riuscite a riconoscere l’amarezza e la tristezza di chi vede ripetersi oggi ciò che ha vissuto personalmente molti anni fa, non sbagliate di molto.
Gli imprenditori, le imprese e i lavoratori italiani che in questi giorni stanno venendo evacuati e che dovranno presto affrontare difficili conseguenze vanno infatti ad aggiungersi ad una lunga fila di imprenditori, imprese e lavoratori che hanno patito tribolazioni infinite, e purtroppo anche drammi personali, a causa del regime di Gheddafi e dell’incredibile atteggiamento dei nostri governi nei confronti dello stesso.
L’aspetto più grave di questa sudditanza nei confronti del regime di Gheddafi non è tanto nel fatto che per ragioni strategiche qualsiasi governo italiano, di qualsivoglia colore politico, dovrà fare accordi e compromessi senza andare troppo per il sottile. E’ stato fatto prima con Gheddafi e verrà fatto in futuro, con chi si vedrà.
Suvvia, non bisogna essere Kissinger o Metternich per capire questo!Ciò che è davvero grave è che tutte le conseguenze negative sono state, e temo verranno nuovamente, trasferite direttamente a tutti coloro, imprenditori, lavoratori e cittadini che in Libia hanno un qualche interesse.
In questo senso il tanto discusso accordo bilaterale siglato nel 2008, e tutta la trattativa propedeutica allo stesso, è stato il vero e proprio capolavoro politico-diplomatico con cui una lunga serie di governi, con incredibile continuità nonostante diverse maggioranze, ha scientificamente lavorato contro i legittimi interessi e contro i più plateali diritti dei propri cittadini.
Al solo scopo di blandire un dittatore sanguinario e tutelare interessi energetici. A proposito: non credete alla sorpresa per l’efferatezza dimostrata in questi giorni. Tutti coloro che conoscono la Libia sapevano benissimo di cosa era capace Gheddafi. Basterebbe ricordare come dal Consolato italiano si potessero sentire distintamente le urla dei torturati provenienti dal palazzo antistante, sede della polizia di regime.
Sappiate, cari amici e colleghi, che nel danneggiare le imprese italiane lo Stato italiano non si è fermato praticamente davanti a nulla. Sono stati fatti decreti legge, mai convertiti, per sbloccare fondi libici sequestrati da imprenditori italiani; sono stati transati crediti non assicurati di aziende parzialmente rimborsate dalla SACE, impedendo alle stesse qualsiasi possibile tutela ulteriore dei propri diritti; sono state accettate richieste di danni libiche nei confronti di aziende italiane senza chiedere ai libici alcun documento attestante quanto richiesto.
Si potrebbe continuare ad nauseam. C’è chi ha visto festeggiare questo trattato mentre la sua piccola azienda in crisi, con crediti accertati per milioni di Euro verso la Libia e i relativi fondi depositati ma bloccati dal regime.Chi ha attraversato queste tragiche dimostrazioni di incapacità politica e di mercantile asservimento sapeva riconoscere nei richiami di questi ultimi anni quello di pericolose sirene.
Vi garantisco che è stato fatto di tutto, da parte di chi aveva l’esperienza (sempre quella!), per sottolineare i rischi che venivano fatti correre alle imprese italiane, affinché non si ripetesse quanto già vissuto da altri.Vedere, tra quelle evacuate, aziende che erano già rimaste scottate negli anni Ottanta, che avevano poi tradito la difesa dei loro diritti indebolendo quindi tutte le altre aziende pur di ritornare in Libia, per essere di nuovo creditrici della Libia, la dice lunga sulle sirene che hanno incantato alcuni.
Solo un Governo capace di garantire alle proprie aziende il rispetto del diritto, invece di trasformarle in merce di scambio per i propri interessi, può davvero spingere le imprese ad affrontare mercati tanto rischiosi. Gli imprenditori sanno che possono anche affrontare perdite ma non accetteranno mai e poi mai che il proprio lavoro venga svenduto e scambiato da chicchessia per qualche favore.
Fare politica estera ed energetica facendo pagare le conseguenze ad altri è inaccettabile. Fare accordi senza risolvere alcun problema è molto facile. Sono queste amare esperienze che mi spingono a consigliarvi oggi grande attenzione e poche illusioni.Carissimi amici, lo shock e la paura fisica tra poco saranno un brutto ricordo e comincerete a volere risposte tangibili.
La difficile esperienza delle aziende creditrici della Libia dagli anni Ottanta, che mai hanno cessato di incalzare il Governo e che ora si aspettano finalmente una soluzione, mi ha spinto a darvi qualche consiglio nella speranza che, così come questo regime dannato si avvia al tramonto, anche la triste realtà di una Italia stupidamente prona e succube venga al più presto sorpassata.
Vicepresidente Airil - Associazione Italiana Rapporti Italia-Libia

 

 

 

 

Galleria Immagini
Decennale AIRIL

Contatti

Sede Legale

Via Sistina, 121 - 00187 - Roma
(c/o DayOffice)

tel: 06-47818521 - fax: 06-47818444
email: presidenza@airil.it