La mia foto sul petto

Lettera di Maria Imperatore

Del 12 giugno 2009 da Corriere della Sera

Gentile Direttore,

la foto appuntata sul petto di Gheddafi, esibita con provocazione prima a Berlusconi poi a Napolitano e, attraverso la TV al mondo intero, mi ha fatto venire in mente di mandarne una a Lei molto diversa ma altrettanto significativa.

Anche se non mi riconosco in nessuna delle persone rappresentate, l'ho conservato gelosamente perché potrei essere benissimo io una di loro dato che da quella nave sono sbarcata anche io, ragazza, un giorno d'estate di quasi quarant'anni fa.

Avevo perso tutto: non solo la casa, le cose, gli amici, la spiaggia, i luoghi spensierati della mia gioventù ma mi sentivo violata addirittura nella mia intimità.

Come era stato lungo e difficile quel mese torrido tra fine luglio e fine agosto vissuto a Tripoli dopo aver ascoltato alla radio il provvedimento di confisca emanato da Gheddafi. Quanti problemi per me e per i miei: non c'era neppure il tempo di piangere perché bisognava occuparsi di tante brutte cose pratiche. I beni li avevamo perduti, ma bisognava pure consegnare i relativi documenti facendo lunghe file sotto cartelli minacciosi in ricordo delle nostre “malefatte”. Bisognava cercare di sistemare presso affettuosi amici libici il nostro adorato cagnolino. Bisognava dimostrare il pagamento di tutte le utenze luce, gas, telefono: con quali soldi affrontare questi oneri dato che i conti in banca erano bloccati? E i libri? I miei adorati libri, per essere infilati in valigia, dovevano passare sotto il visto di un apposito controllo mentre ori e argenti venivano inesorabilmente sequestrati in dogana, luogo dell'ultima umiliazione: donne gentili e imbarazzate ti frugavano da per tutto, dopo averti fatto spogliare, pensando che persino fra i capelli potevi portarti via qualche tesoro. Ma questo gli italiani, i deputati, i membri del governo, le nostre giovani ministre lo hanno mai saputo?

La ringrazio e La saluto


 

 

 

 

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