Intervista a Leone Massa: I Libici non pagano i nostri creditori

di Stefano Magni

Del 2 novembre 2007 da L' Opinione

Tira aria di riconciliazione tra le due sponde del Mediterraneo. “In pochi giorni speriamo di annunciare un accordo fra Italia e Libia che segna l’approdo di un lungo processo politico durato un decennio e che ha visto progressivamente collaborazione, distensione e cooperazione economica tra i nostri due Paesi”, dichiarava Massimo D’Alema a Roma partecipando a un convegno sui deportati libici in Italia all’epoca della guerra del 1911-‘12. E’ anche in cantiere un film sceneggiato dal colonnello Muhammar Gheddafi in persona sulle nostre atrocità commesse in Libia nel secolo scorso. Tutti soddisfatti? Non proprio. Perché a perderci, in questi accordi, sono proprio i nostri imprenditori che investirono in Libia e che, dalla fine degli anni ‘70, in seguito alle massicce nazionalizzazioni volute da Gheddafi, non riescono più a riscuotere i loro crediti. L’associazione Airil (Associazione Italiana per i Rapporti Italo-Libici) si è costituita nel gennaio del 2001, presieduta dall’imprenditore napoletano Leone Massa, proprio per rappresentare gran parte delle 120 aziende che stanno subendo questa ingiustizia da più di trent’anni.

Leone Massa, cambierà qualcosa con il nuovo miglioramento dei rapporti fra Italia e Libia?


Noi, Confindustria, Ance e Armamenti, siamo stati convocati al Ministero degli Affari Esteri stamattina (ieri mattina, per chi legge), presso il direttore dei rapporti con i paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente per valutare la nuova offerta della Libia: 313 milioni di euro. Siamo ancora qui, nella condizione di dover chiedere l’elemosina a Tripoli, mentre i nostri diritti non vengono ancora rispettati.

A quanto ammonta il credito delle imprese italiane?


Fu accertato dall’Ubae (la banca arabo-italiana) e dal Ministero degli Esteri che la sola sorta capitale (quindi senza contare la rivalutazione della moneta e gli interessi sorti nel frattempo) ammonta a 642 milioni di euro. Da notare che vi sono anche sentenze di corti libiche che prevedono il pagamento degli interessi legali. Insomma, l’offerta di 313 milioni di euro, meno della metà della sola sorta capitale, elaborata nei termini del “prendere o lasciare” è proprio un’elemosina. E noi non la possiamo accettare, considerando che viviamo in uno Stato di diritto. Sapevo che si sarebbe arrivati a un’offerta così bassa. Nel 2002, l’allora responsabile dell’area del Mediterraneo, all’insaputa delle associazioni, si permise di fare ai libici una proposta di chiudere la partita per 314 milioni di euro, il tutto a scapito di noi creditori. I libici, che non sono fessi, hanno offerto un milione in meno di quello che l’Italia ha chiesto loro. Perché mai dovrebbero offrire una somma superiore?

Quanto è grave il danno per le aziende italiane?


Molte sono già fallite. Altre aziende, quando si erano trovate in difficoltà in Libia e avevano intentato cause presso le corti libiche (contro le compagnie di Stato libiche debitrici), rilasciarono delle dichiarazioni presso il consolato italiano in cui si garantiva il pagamento ai loro dipendenti nel momento in cui sarebbero stati riscossi i crediti. Secondo le leggi italiane, un dipendente, nel momento in cui sa che la sua azienda ha ricevuto i soldi, pretenderà che quanto a lui dovuto comprenda anche la rivalutazione della moneta e gli interessi legali. Questo fa capire quanto siano ingiuste le offerte che vengono fatte senza tener conto degli interessi e di tutto quello che è passato in questi tre decenni.

A che punto è l’attività delle istituzioni italiane per ottenere il pagamento dei crediti?


Da un anno, dunque dall’ottobre del 2006, ci sono ben tre disegni di legge in discussione al Senato per la concessione di una garanzia sovrana nel limite massimo di 650 milioni di euro alle imprese creditrici della Libia. La VI Commissione Finanze ha chiesto l’audizione del Ministero degli Esteri, del Ministero dell’Economia e delle varie associazioni interessate, tra cui la nostra. Abbiamo dichiarato che la garanzia sovrana è lo strumento definitivo per chiudere la partita, che nessuna impresa ha la forza necessaria a trattare con il governo libico, che ci sono sentenze di corti libiche e depositi presso banche e abbiamo semplicemente chiesto il rispetto del diritto. Il sottosegretario agli Esteri Ugo Intini ci ha risposto che la proposta di questi disegni di legge indebolisce la trattativa con la controparte libica. Ma è il contrario! Semmai la garanzia sovrana dovrebbe rafforzare la nostra posizione! Il Ministero dell’Economia non si è mai presentato in Commissione. Sono stati fatti due emendamenti alla Finanziaria, uno da parte dell’attuale maggioranza, che poi è stato ritirato e un altro presentato dall’opposizione. Ed è stato respinto dalla Commissione. Allora, in che Italia viviamo? Prima l’istituzione parlamentare appoggia dei disegni di legge e poi li respinge?

Quali saranno le vostre prossime mosse?


Informeremo il Ministro Tommaso Padoa Schioppa e alcuni sottosegretari agli Esteri che si sono detti non a conoscenza della situazione, in modo da inserire la garanzia sovrana per le aziende creditrici in Libia nella Finanziaria. Una copertura parziale c’è: i 313 milioni offerti dalla Libia. Contando la nuova copertura, lo Stato non ci dovrà 93 milioni di euro all’anno, per sette anni, ma solo 46 milioni. D’altra parte, come recita la legge, “Lo Stato italiano tutela il lavoro italiano all’estero”. Finora c’è da chiedersi come lo abbia tutelato. Se lo Stato, nel tutelare i nostri interessi, ci ha danneggiato, ne è responsabile.

 

 

 

 

Galleria Immagini
Decennale AIRIL

Contatti

Sede Legale

Via Sistina, 121 - 00187 - Roma
(c/o DayOffice)

tel: 06-47818521 - fax: 06-47818444
email: presidenza@airil.it