Gheddafi prepara un film sul periodo del colonialismo italiano

Del 1 novembre 2007 da La Voce d' Italia

Un monito al governo italiano che in questi giorni sembra stia cercando di chiudere il contenzioso con Tripoli una volta per tutte

Il colonnello Gheddafi è sempre polemico con la comunità italiana che è risieduta per molti anni in Libia. L'ha sempre vista come la figlia di quella azione coloniale cominciata con il 29 settembre 1911. Quel giorno infatti l'Italia dichiarava guerra all’Impero ottomano per il possesso della Tripolitania e della Cirenaica, territori libici a quel tempo sotto il controllo della Sublime Porta. Da allora, e fino al ritiro degli italiani nel ‘43, la Libia è una colonia italiana. Sarà il film Dhulm: Years of Torment («Ingiustizia: anni di tormento») a raccontare il colonialismo italiano in Libia.

Il film sarà basato su un testo originale scritto da Gheddafi, mentre la sceneggiatura è della trentaduenne di origine palestinese Iman Said, la regia del siriano Najdat Anzour e la produzione del libanese di fede cristiana Ramzi Rassi, che vive a Londra. Il film inizierà nel 1911 con l’invasione italiana e, seguendo un percorso narrativo non lineare, intreccia piani temporali e testimonianze di libici, italiani e altri europei, tra cui il giornalista inglese Francis Macullagh che si trovava a Tripoli al momento dell’occupazione. L’obiettivo è restituire un periodo storico complesso facendo parlare più voci: storie vere, di sopravvissuti libici ai campi di concentramento italiani, raccolte in migliaia di nastri audio e fotografie dell’epoca, alcuni dei quali esposti in questi giorni a Roma presso l’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente.

Un progetto che si va a intrecciare con le relazioni italo-libiche attuali: pare infatti come un monito al governo italiano che in questi giorni, come espresso per bocca del ministro degli Esteri Massimo D'Alema, sembra stia cercando di chiudere il contenzioso con Tripoli una volta per tutte.

L'altro ieri D’Alema era alla conferenza «L’Italia ricorda i deportati libici del 1911-1912» organizzata ieri agli Archivi di Stato nella capitale. D’Alema ha definito «bestiale» la repressione messa in atto in quegli anni dall’Italia, «con centinaia e centinaia di deportazioni di cittadini libici in località italiane da cui non fecero ritorno».

Non che Gheddafi non abbia diritto a fare conoscere la storia del paese, ma per lo meno i tempi dell'operazione appaiono strumentali. Gheddafi nel 1979 era già stato promotore di una operazione simile finanziando il film "Omar al Mukhtar, il leone del deserto", storia del più importante resistente libico all'occupazione italiana; film realizzato dal regista Mustapha Akkad con un cast eccezzionale, con protagononisti Anthony Quinn e Rod Steiger, ma incredibilmente mai distribuito nel nostro Paese per evidenti motivi politici; forse ora i tempi sono cambiati.

Arturo Varvelli 
Dopo l'ascesa al potere di Gheddafi, i rapporti italo-libici sono stati altalenanti. La Libia ha chiesto gesti visibili di risarcimento per il passato colonialismo. L'Italia offrì, sino a ieri, quel che poteva e ha esercitato una costante moral suasion per far allontanare lo Stato Libico da una deriva terroristica ed estremista che le sarebbe stata fatale (si pensi all'Iraq) e ha gestito una costante azione per appianare le crisi con i maggiori stakeholder occidentali, a iniziare dagli Usa. L'incontro che l'Archivio Centrale dello Stato ha ospitato a Roma lo scorso lunedì è servito a dare contezza dei deportati libici in Italia negli anni 1911-1912, quando - a migliaia - furono costretti nelle isole Tremiti, a Ponza a Ustica a vivere miseramente e molto spesso a morire malamente. Furono, quei deportati, solo l'avanguardia di prigionieri nei campi di concentramento o di condannati a morte. Il volto del colonialismo italiano non fu per niente benevolo, esercitò - al pari delle altre potenze coloniali - discriminazioni, prepotenze, violenze. 
La favola del colonialismo buono ha avuto radici complesse nell'ottocento europeo; in Italia la favola del buonismo servì nell'epoca crispina e giolittiana a trovare giustificazioni dinnanzi alla ostilità, dei socialisti e dei movimenti cattolici, verso politiche di potenza che non tenevano conto dell'arretratezza di tanta parte del Paese. Per di più la sconfitta nella seconda guerra mondiale consigliò molti politici, di tutti gli schieramenti, a non scavare troppo a fondo nella pattumiera della realtà. Il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, ha ricordato che la politica di cooperazione con la Libia è da decenni una costante della politica estera italiana e che avviare una ricostruzione della verità storica attraverso un lavoro comune tra storici libici e italiani rende giustizia alle vittime e agevola la partnership italo-libica, permettendo all'Italia - a differenza di altri paesi - di ritrovare la propria dignità attraverso la memoria condivisa della storia. Che si tratti di una pagina bella della nostra politica lo testimonia l'applaudita e significativa partecipazione dell'on. Pisanu, che tanto si interessò alla Libia su diretto mandato dell'allora Presidente Berlusconi. «Il colonialismo italiano non fu una esperienza di imperialismo straccione - ha egli affermato - ma una conquista violenta e un'oppressione sistematica di popolo». La politica bipartisan, basata sugli interessi nazionali, ha avuto successo nei confronti della Libia. Dichiarare la continuità della politica estera italiana onora Berlusconi, Pisanu e D'Alema.

 

 

 

 

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