L'Italia studia un fondo-Libia

di Gerardo Pelosi

Del 2 aprile 2007 da Il Sole 24 Ore

Almeno una cosa sembra confermata, li Governo dovrà ricorrere a una legge per finanziare l'autostrada di Gheddafi da Ras Jdir ad Assalum destinata a chiudere il contenzioso del passato coloniale e il cui costo, dalle prime valutazioni, non sarebbe inferiore ai 3 miliardi di euro. La realizzazione della scomoda eredità del Governo Berlusconi (che firmò nero su bianco l'accordo con il Colonnello) dovrebbe assicurare, secondo il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, una normalizzazione dei rapporti con Tripoli e appianare una serie dì questioni ancora aperte. Alcune vecchie (visti agli esuli e insoluti di pagamento) e altre più recenti (pressione migratoria e contratti petroliferi dell'Eni).

Ieri la Farnesina ha smentito l'intenzione di utilizzare il cosiddetto "tesoretto" per finanziare l'autostrada (si veda la lettera). Prende invece corpo l'ipotesi di un provvedimento di legge per istituire un fondo nel quale confluirebbero finanziamenti pubblici e privati da destinare alla costruzione dell'autostrada che sorgerebbe sul tracciato della vecchia via Balbia e la cui costruzione verrebbe affidata a una ditta italiana.

L'accordo di Pasqua tra D'Alema e Gheddafi prevederebbe la creazione di una commissione ad hoc per giungere a un accordo complessivo in cui le aziende private italiane che si aggiudicheranno nuove commesse libiche parteciperanno con loro quote al finanziamento dell'autostrada. Restano però da definire le modalità di questa "contestualità".

Di fatto, dopo circa dieci anni, ci si trova a fare i conti con una nuova fase critica nei rapporti con Tripoli. Anche allora vi erano in palio cospicui contratti petroliferi dell'Eni che non decollavano e un clima di diffidenza verso le mostre aziende. Poi, il 4 luglio del 1998, con il "comunicato congiunto" il ministro degli Esteri, Lamberto Dini, sbloccò la situazione, i contratti dell'Eni vennero riattivati e il flusso di greggio verso il nostro Paese riprese copioso ma con un prezzo politico elevatissimo. Con quell'accordo infatti l'Italia (a distanza di decenni da accordi già conclusi sui danni di guerra) si impegnò a non infliggere più al popolo libico le gravi sofferenze patite durante il periodo coloniale e a realizzare una serie di progetti come un ospedale pediatrico e una scuola finanziati da una società mista italo-libica (Ali) al quale avrebbero contribuito con loro quote le aziende italiane che si fossero aggiudicate commesse in Libia. In pratica, la stessa soluzione che si intenderebbe seguire anche ora

Difficile dire se questa volta, D'Alema sarà più fortunato di Dini. Sta di fatto che il vice-premier si trova a gestire oggi anche un fronte interno molto complesso. Sono di ieri le critiche del leader della Uil, Luigi Angeletti, che ha criticato l'ipotesi di destinare anche in parte il "tesoretto" per l'autostrada, mentre resta molto dialettico il rapporto tra D'Alema e il ministro Tommaso Padoa-Schioppa. Il titolare della Farnesina ha scritto al responsabile dell'Economia una lettera in cui lo invita a desistere dal taglio di 50 milioni per la Cooperazione allo sviluppo necessari all'opera­zione dì riduzione dei ticket (per un totale di 350 milioni di cui il Governo è a caccia tanto da far ipotizzare, anche in questo caso, l'utilizzo del "tesoretto"). E restano, infine senza risposta gli appelli lanciati a D'Alema dall'Associazione degli italiani rimpatriati dalla Libia ed espulsi da Gheddafi nel '70 costretti a lasciare i loro beni sul suolo libico per un valore accertato di 400 miliardi di lire dell'epoca risarciti solo in parte dagli anni 80

 

 

 

 

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