Il diktat del Colonnello: un'autostrada di 2.000 Km per bloccare le partenze

di Paolo Poggio

Del 22 agosto 2006 da Il Messaggero

Le vie della diplomazia e della lotta all'immigrazione clandestina passano da un'autostrada. La Tripoli-Bengasi: 2mila chilometri circa, per un costo preventivato di 6 miliardi di euro. La Libia la pretende come risarcimento dei danni causati dalla guerra d'occupazione italiana. Palazzo Chigi, almeno dagli anni cinquanta, cerca di trovare un accordo che accontenti le richieste di Tripoli. Ed è proprio a queste richieste che sembra condizionato l'impegno della Libia per contrastare l'immigrazione clandestina dalle sue coste verso l'Italia. Un impegno sancito da più di un accordo verbale, ma mai operativo. «La Libia ci aiuti, ma l'Italia realizzi l'autostrada», ha detto ieri in un'intervista al Messaggero lo stesso vicepresidente della commissione europea Frattini. Su questo punto, secondo l'agenzia di stampa ufficiale libica Jana, il presidente del Consiglio Romano Prodi, in una recente telefonata con il leader libico Gheddafi, avrebbe «rinnovato l'impegno assunto dall'Italia per ottemperare ai termini della Dichiarazione congiunta italo-libica», assicurando al suo interlocutore che «il governo italiano sta cercando di adottare misure concrete per completare l'esecuzione dei punti ancora non realizzati». Ma con l'emergenza umanitaria sulle coste di Lampedusa, i "vedremo" della diplomazia hanno fatto sbottare il ministro dei trasporti Alessandro Bianchi. «Altro che do ut des. Non c'è nulla da discutere con chi pensa di trattare sulla pelle dei disperati». Un siluro verbale che è arrivato dritto dritto sull'autostrada dei desideri libici. Come a dire: non è lasciando partire dai propri porti migliaia di poveracci che la Libia otterrà un'autostrada o i risarcimenti che da tempo chiede. In effetti, la questione dell'autostrada Tripoli-Bengasi si perde a cavallo tra gli anni sessanta e settanta. Accadde esattamente il 21 luglio 1970 che il colonnello Mu'ammar Abu Minyar al-Qadhdhafi, meglio conosciuto come Muammar Gheddafi, decise di espellere dalla Libia oltre 20 mila italiani. L'allora giovane ufficiale confiscò ai nostri connazionali ingenti quantità di beni e di denaro. Per l'esattezza il governo libico si appropriò di 37mila ettari di proprietà terriere, 1.700 case, 10 cliniche, 500 aziende e locali pubblici, commerciali o professionali, 1.200 veicoli e depositi bancari per oltre 80 milioni di sterline libiche: circa 400 miliardi di lire di allora. Dopo un primo accordo nel 1956 e un secondo tentativo di conciliazione nel 1998 dell'allora ministro degli esteri Lamberto Dini (con capo del governo D'Alema), fu Silvio Berlusconi a giocare la carta di un accordo definitivo. Il 28 ottobre 2002 arrivò la firma di un trattato per pagamento da parte libica dei debiti verso le imprese italiane: scadenza 31 marzo 2003. Il 3 luglio 2003, intanto, Libia-Italia si accordarono per una comune lotta all'immigrazione clandestina. Tripoli non rispet­tò però la scadenza per il risarcimento alle imprese italiane di circa 600 milioni di euro e il 10 febbraio 2004 Berlusconi volò in Libia per chiudere la faccenda. Gheddafi rispose chiedendo la realizzazione completa dell'autostrada. Il capo del governo italiano acconsentì alla costruzione della strada, per mezzo di aziende italiane, fino ad un tetto massimo di 60 milioni di euro. Finisce così, in un vicolo cieco, la storia della Tripoli-Bengasi. Senza dimenticare però, che sulla questione pesano anche gli scontri sanguinosi presso il consolato italiano di Bengasi del 17 febbraio scorso: incidenti che il leader libico attribuì anche a un moto popolare spontaneo per gli accordi non rispettati da Roma, compresa la costruzione dell'opera promessa.

 

 

 

 

Galleria Immagini
Decennale AIRIL

Contatti

Sede Legale

Via Sistina, 121 - 00187 - Roma
(c/o DayOffice)

tel: 06-47818521 - fax: 06-47818444
email: presidenza@airil.it