Gheddafi non salda, aziende costrette a chiudere.
Più di cento imprese hanno fatto causa al Governo

di Dimitri Buffa

Del 18 giugno 2006 da La Padania

Se Gheddafi non onorerà i propri debiti sarà lo stato italiano che gli ha sempre perdonato tutto a doverlo fare. Lo sperano 119 imprese che adesso, dopo tante promesse non mantenute e un discreto boicottaggio istituzionale localizzato alla Farnesina, hanno deciso di passare ai fatti, visto che qualcuno al Mae ha spesso fatto il doppio gioco. E quindi se non paga Gheddafi o chi per lui, logica conseguenza è che dovrebbe essere lo stato italiano a farlo. Uno stato sempre pavido ogni qual volta c'era da fare un mezzo sgarbo al dittatore libico. D'altronde le aziende creditrici di controparti libiche oltre Mediterraneo presiedute in consorzio da Leone Massa hanno aspettato pazientemente, qualcuna anche per 30 anni. Così, con i tempi biblici della giustizia italiana, giovedì presso la seconda sezione del Tribunale civile di Roma, si è svolta la prima udienza della causa intentata dalle prime 12 aziende creditrici della Libia contro lo Stato Italiano. I crediti, risalenti ai primi anni Ottanta, sono in gran parte suffragati da sentenze definitive delle stesse Corti libiche o da depositi bancari in quel Paese e mai trasferiti. Il motivo di tali sofferenze è, da anni, la richiesta libica dei danni di guerra e del periodo coloniale. In realtà questa cosa è un po' una presa per i fondelli e con essa Gheddafi ci tiene in ostaggio ormai da 40 anni. Facendo finta di non sapere che già nel '56 l'Italia provvide a tale risarcimento, disconosciuto poi da Gheddafi, al suo avvento al potere in Libia. Le imprese creditrici della Libia sono, quindi, da anni appese ai capricci di quel Paese e molte di esse, nel frattempo, sono anche fallite con enorme perdita di posti di lavoro. Il 28 ottobre 2002 il governo italiano e quello libico conclusero un accordo, segretato, che prevedeva il pagamento da parte libica dei crediti alle imprese entro il 31 marzo 2003, nonché la chiusura del contenzioso sui danni di guerra col pagamento da parte dello Stato italiano di 60 milioni di euro. Gli impegni non sono stati rispettati e alcune imprese creditrici, ormai stanche ed offese da ipotetiche proposte di accordi forfetari non degne di uno Stato di diritto, hanno fatto ricorso alle Corti nazionali ed internazionali per vedere, dopo tanti anni, rispettati i loro diritti. La cosa incredibile è che, all'udienza di giovedì (in cui si era costituita l'avvocatura dello Stato a difesa della presidenza del Consiglio, del ministero dell'Economia e del ministero degli Esteri, chiamati in causa dai ricorsi) è venuta fuori la linea politica che l'attuale governo vuole tenere con questi poveri sfigati di industriali che ebbero la dabbenaggine di fare affari con le imprese libiche: riassunta in un motto l'Italia “se ne frega”. Più precisamente si legge nell'ultima pagina di una stringatissima memoria di cinque paginette che “del tutto infondata appare la richiesta di risarcimento danni” sul presupposto che “il fatto illecito sia da identificarsi nella mancata richiesta al Parlamento di autorizzare ad eseguire l'accordo (su citato, ndr) tra l'Italia e la Libia del 28 ottobre 2002”. E questo perché “appare evidente come in alcun modo possa costituire fatto illecito una scelta di natura strettamente politica, che in quanto non riconducibile ad una attività amministrativa non è suscettibile di arrecare un danno ingiusto quale quello lamentato dalle parti attrici, comunque non casualmente riconducibile al dedotto inadempimento”. Tradotto in italiano un po' meno ipocritese, la cosa significa questo: il Governo decide per tenersi buono Gheddafi di non dare attuazione al suddetto accordo e a non portarlo in Parlamento, le aziende falliscono e se lo tengono in quel posto, ma siccome la decisione è politica e non amministrativa non è provabile il nesso causa effetto. Conclusione: di voi ce ne fregavamo ieri e continuiamo a fregarcene oggi. L'importante è non disturbare il padrone della Juventus, della Fiat e il partner commerciale più importante dell'Eni, nonché il fornitore privilegiato di gas al nostro paese. Se poi un centinaio di privati ci hanno perso oltre duemila miliardi di lire pazienza. Non se la prendano così.

 

 

 

 

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