Italia - Libia:Normalizzazione era quasi obbligatoria

di Carlo Rebecchi

Del 24 febbraio 2006 da Il Velino

Roma - Il documento approvato ieri dal governo potrebbe essere “l’atto politico forte” che Tripoli aspettava da tempo per impegnarsi finalmente nel dialogo per una vera normalizzazione dei rapporti italo-libici. Anche se da Tripoli non ci sono ancora state reazioni ufficiali, fonti informali hanno riconosciuto “l’importanza” del gesto dell’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi. E se realmente, come ha indicato il governo di Roma, il “comitato per il partenariato” italo-libico si riunirà in tempi brevi, è possibile che i problemi al centro del contenzioso bilaterale – che non ha peraltro conseguenze troppo negative sull’interscambio commerciale - possano essere una volta per tutte avviati a soluzione: da quelli che interessano la Libia (la superstrada costiera dalla Tunisia all’Egitto, chiesta da Tripoli per chiudere definitivamente il capitolo della “occupazione imperialistica” italiana) a quelli che invece costituiscono il “cahier des doléances” di Roma: dalla concessione dei visti agli italiani espulsi dopo l’avvento di Gheddafi nel 1970, al pagamento dei crediti del valore di quasi tremila miliardi di vecchie lire vantati da decenni da decine di aziende italiane nei confronti dello Stato libico, alla revisione di norme procedurali e di prelievi di natura fiscale che colpiscono esclusivamente, tra le aziende, quelle italiane. Il “rilancio” italiano verso la Libia, secondo quanto risulta al Velino, è stato voluto principalmente dai ministri Giuseppe Pisanu (Interno), che in questi anni ha stabilito un buon rapporto anche personale con Gheddafi, e Gianfranco Fini (Esteri). L’idea di base è stata che le difficoltà attuali – relative alla vicenda delle vignette, nella quale si è poi inserito il ministro Calderoli – potevano, e anzi devono, servire per tentare “un salto di qualità” per normalizzare finalmente i rapporti bilaterali e rilanciarli in senso costruttivo nell’interesse di entrambi i Paesi. Una linea, come si è visto in Parlamento, condivisa da maggioranza e opposizione, che si sono mostrate unite “contro l’unico vero nemico: l’Islam integralista e armato”. Una linea che non può non soddisfare anche il colonnello Gheddafi. Puntare i riflettori sull’”Islam integralista e armato” fa passare infatti in secondo piano uno degli aspetti da molti osservatori individuato come una delle componenti degli incidenti di Bengasi: quello relativo al fatto che, iniziata (e con l’autorizzazione delle autorità) per protesta contro le vignette, la manifestazione si sarebbe poi trasformata, per la presenza tra i manifestanti di molti stranieri, in una vera e propria rivolta contro il “regime di Tripoli”. E non c’è dubbio che il buon rapporto italo-libico può essere determinante per la stabilità nella regione. All’Ufficio del consigliere diplomatico di Palazzo Chigi si ritiene, realisticamente e sulla base dei precedenti, che non si tratterà di un negoziato facile. La richiesta libica della superstrada litoranea (la fascista “Balbia”) è stata formulata da Gheddafi dopo che gli accordi bilaterali del 1998 avevano già sancito che la chiusura di ogni polemica sul passato avvenisse con la realizzazione, da parte dell’Italia, di un centro ospedaliero a Bengasi; centro ormai in funzione da circa due anni. L’idea del governo italiano, secondo quanto risulta al Velino, è che per prima cosa il “comitato per il partenariato” (formato da alti funzionari, diplomatici e tecnici dei due Paesi) faccia l’inventario di tutti i problemi aperti sul piano bilaterale tra Italia e Libia. Questa ricognizione dovrebbe permettere di stabilire con precisione ciò che degli accordi passati è già stato realizzato, ciò che resta da fare e individuare le iniziative che sono rimaste bloccate e perché. Riguardo alla strada costiera - lunga 1.800 chilometri, il governo nel 2001 aveva già promesso e stanziato 60 milioni di euro per gli studi preliminari di fattibilità. È impensabile che l’Italia possa finanziare da sola (cosa che tra l’altro i regolamenti dell’Ocse non permettono) l’intera opera, del costo di circa tre miliardi di euro. “Bisognerà discuterne. L’Italia potrebbe magari finanziarne un primo tratto, breve ma simbolicamente importante”, hanno dichiarato alcuni tecnici. Quanto ai temi in agenda da parte italiana, sono numerosi. Uno è quello della concessione dei visti agli italiani cacciati dalla Libia: provvedimento promesso personalmente da Muammar Gheddafi a Silvio Berlusconi ma realizzato soltanto in minima parte. Quanto ai crediti, vantati dalle aziende italiane – per contratti che risalgono anche agli anni Settanta – quelli documentati ammontano a 626.700.000 euro, al netto della rivalutazione monetaria e degli interessi, che portano il totale a quasi due miliardi. Nel settembre scorso, il sottosegretario libico del comitato popolare per le Finanze, Ashur Khaliga Trebel, aveva proposto, quale “ultima offerta” da prendere o lasciare, circa 230 milioni di euro. Successivi colloqui tra l’ambasciatore Riccardo Sessa, direttore generale per il Mediterraneo e il Medio Oriente della Farnesina, e lo stesso ministro Trebel avevano fatto salire l’offerta libica a 260-270 milioni di euro. È verosimilmente da quella base che si ricomincerà a trattare nel “comitato per la partnership”, che dovrà affrontare anche il problema dell’Ali: un prelievo (oggi è del 4 per cento) sugli appalti italiani che avrebbe dovuto essere versato in fondi per lo sviluppo di progetti di sviluppo umanitario. Ma che si è trasformato di fatto in una “tassa sugli italiani”, di cui danneggia fortemente la competitività in quanto tale tassa non esiste per gli altri stranieri. Un altro handicap per gli imprenditori italiani è la normativa che, dal 1970 prevede per i loro contratti e appalti l’autorizzazione del primo ministro libico. Si sono intanto avute le prime reazioni dei rimpatriati della Libia e dei rappresentanti delle aziende creditrici della Libia. L’Airil (Associazione italiana per i rapporti italo-libici) che è presieduta da Leone Massa e raggruppa buona parte delle aziende creditrici, ricorda che “in uno stato di diritto quale l’Italia e in osservanza del dettato costituzionale, il governo italiano è tenuto a tutelare i diritti derivanti dal lavoro dei propri connazionali all’estero. Per tale ragione – aggiunge – una soluzione accettabile per chiudere il contenzioso economico sui crediti è il rispetto del diritto sino al pieno soddisfacimento dei suddetti crediti”. Secondo l’Airil, “le misure altamente significative espresse nel comunicato della presidenza del Consiglio possono e devono essere una conseguenza del pagamento dei crediti sofferenti da decenni”. Quanto all’Associazione dei rimpatriati dalla Libia (Airl) “ha registrato con soddisfazione” le decisioni del Consiglio dei ministri e resta in attesa che “il rilascio dei visti più volte promesso si concretizzi”. Senza la concessione dei visti, secondo l’Airl, “il rapporto bilaterale non potrà decollare”. L’Airl afferma anche che il governo “ha tradito per cinque anni le aspettative dei rimpatriati in tema di indennizzi per i beni che Gehddafi ha confiscato come acconto dei supposti danni coloniali” e chiede che “tra le misure altamente significative” decise dal governo rientrino anche iniziative “più modeste, ma altrettanto dovute, per un indennizzo definitivo ai rimpatriati”.

 

 

 

 

Galleria Immagini
Decennale AIRIL

Contatti

Sede Legale

Via Sistina, 121 - 00187 - Roma
(c/o DayOffice)

tel: 06-47818521 - fax: 06-47818444
email: presidenza@airil.it