Gheddafi Jr: “Collaboriamo su terrorismo ed clandestini”

di Ruggiero Capone

Del 15 gennaio 2003 da L' Opinione

La Libia si propone quale cerniera politica tra l’Occidente ed il Sud del Mondo. A presentare la proposta a Roma è Seif El Islam Gheddafi, primogenito del leader Libico Muamar Gheddafi, che ha promosso ieri una conferenza in tema presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Prima d’ascoltare Seif El Islam (brillante ingegnere) abbiamo scambiato qualche parola con i convenuti, e c’era chi ventilava che il promogenito del Colonnello Gheddafi sarebbe attualmente il predestinato a succedere al Leader Muamar. Una voce, tra l’altro, confortata dal fatto che Seif si occupa soprattutto di politica e sponsorizza eventi culturali a Roma come a Londra. Ma chi è il giovane Seif? Una domanda difficile, ma fin dalle prime battute ha fustigato la Fao, la Banca Mondiale e le politiche in favore dei paesi poveri promosse dall’Occidente.

“Questi sono giorni di grande preoccupazione e d’indignazione per i tutti i Paesi di lingua araba - ha detto Seif Gheddafi - c’è voglia nella popolazione libica ma anche egiziana ed algerina, soprattutto nei giovani, di partecipare alla guerra, di arruolarsi per difendere il popolo irakeno. Non si tratta d’un qualcosa d’imposto dai governi, è una solidarietà fra arabi che, in passato, non s’era mai manifestata in questo modo. Molti giornalisti e commentatori si sono domandati più volte perché non esista in Italia ed in Europa come in tutto il mondo Occidentale un coordinamento strutturato di tutte le realtà della società civile che operano a favore dei Paesi Poveri - ci dice Gheddafi - la proposta della Libia è semplice: chi fa cooperazione internazionale dovrebbe essere parte integrante della Banca Mondiale, della Fao e di tutti i grandi organismi. E questo perché chi lavora nella Banca Mondiale, il più della volte, fa solo l’interesse dei paesi ricchi. E chi lavora alla Fao, anche se proviene da un Paese povero, dimentica le proprie origini e s’immerge nel momentaneo benessere personale. Tutto questo non va, non fa che acuire il disagio. Ecco perché propongo un Forum del Terzo settore in cui la Libia possa illustrare la sua proposta in merito ad una rete che crei luoghi di convergenza, progettualità condivise, scambio di culture”. La cosa sortisce l’interesse di Carlo Giovanardi (rappresentante dell’Udc e Ministro rapporti con il Parlamento) che non esita ad aserire che condivide parte del messaggio di Seif. “Rammento – sortisce Giovanardi – che la Libia è vista dalla maggior parte dei Paesi africani come una nazione ricca. Quindi questo Stato nordafricano è regolarmente meta d’immigrazione clandestina, e per certi versi patisce gli stessi problemi che quotidianamente assillano i confini italiani. Del resto noi e la Libia facciamo parte della grande comunità di coloro che s’affacciano sul Mediterraneo. Oggi i rapporti con questo Paese dirimpettaio sono sempre migliori. Ed io ho visitato ufficialmente la Libia. Non credo – spiega Giovanardi – che il freno alla questione immigrazione possa azionarsi senza un sereno rapporto con i paesi nordafricani che, del resto, sono punti d’approdo di chi vuole imbarcarsi per l’Europa”.

“Oggi nel mondo arabo non c’è più conflittualità - spiega Seif - si è orientati verso un progetto di società più coesa e solidale. Abbiamo scoperto l’importanza della realtà associative provenienti da culture e ispirazioni diverse. Crediamo nella democrazia e, soprattutto in Libia, c’è convivenza di cultura islamica, cristiana ed ebraica. Ed il nostro modello vorremmo fosse esportato in Palestina come nel Chachemire, perché latore di pace, di buona convivenza tra appartenenti a diverse culture e religioni. Abbiamo praticato quella mediazione virtuosa che ha cercato non il minimo comun denominatore bensì il massimo del bene possibile, abbattendo i vecchi steccati. Oggi gli intellettuali libici discutono di globalizzazione, diritti umani, salvaguardia dei beni ambientali e delle diversità culturali e, al contempo, colgono l’occasione per ricordare all’Occidente quali dovrebbero essere i contenuti delle proposte che i Paesi ricchi fanno a quelli poveri. Primo fra tutti - sottolinea Seif - spicca la sicurezza dei paesi arabi, perché noi non ci sentiamo tranquilli, temiamo che l’enorme corsa agli armamenti della maggior parte dei Paesi poveri possa renderci sempre bersaglio di missili, che oggi raggiungono bersagli piccolissimi a duemila chilometri dal punto di lancio. E se i Paesi arabi non si sentiranno rassicurati non rinunceranno alla corsa agli armamenti, all’utilizzo di gran parte delle loro ricchezze per acquistare armi. Ed io credo fortemente nelle reti internazionali della società civile, che proseguono l’esperienza del Forum sociale mondiale di Porto Alegre o di Bukawo in Africa. Crediamo che l’aiuto ai paesi africani più arretrati debba essere articolato con sussidi, conferenze, seminari, protocolli di intesa. Non dimentichiamo che al centro della nostra attenzione - dice Gheddafi – ci sono i poveri nostri vicini. Il focus della nostra azione sta nel rilancio di una azione politica di respiro capace di modificare i meccanismi finanziari ed economici che provocano lo scempio della povertà, e potenziare gli organismi internazionali per riscrivere un nuovo diritto internazionale. La Libia crede nella capacità di modificare il modello di sviluppo che s’impone ai Paesi Poveri. E non per fare una rivoluzione - dice Seif - semplicemente per essere un po’ credibili agli occhi dei poveri: l’Occidente non può arrogarsi la rappresentanza di chi non ha i basilari mezzi di sussistenza. Ed anche per motivi di vicinanza territoriale noi conosciamo meglio degli Usa e dell’Europa quali sono gli effettivi bisogni dell’Africa più povera. Se l’Europa e l’Occidente hanno il problema del terrorismo, della droga e dell’immigrazione clandestina, noi abbiamo sia quello dell’immigrazione clandestina che della sicurezza: studiamo insieme le soluzioni – conclude Seif – si tratta di problematiche contigue”.

La conferenza tenuta dall’ingegner Gheddafi non è casuale: cela in se un messaggio (forse criptato) ai Paesi europei che vogliono scendere in guerra contro Saddam Hussein, poi tende anche una mano al Vecchio Continente, dicendo che tramite accordi con la Libia si frenerebbe il trenta per cento dell’immigrazione clandestina sulle nostre coste.

 

 

 

 

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