Le imprese creditrici della Libia lanciano l’ultimatum al governo

Del 11 giugno 2003 da Finanza e Mercati

ROMA. «Se la Libia non rispetta gli impegni, e non paga i debiti per 850 milioni di euro, allora sa­rà il governo italiano a doverci riSarcire». È questo il messaggio  contenuto in una lettera inviata al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. A scriverla è l'asso­ciazione (Airil), che riunisce 40 tra le 120 aziende italiane (tra cui grandi imprese come Pirelli e Impregilo) che dagli anni Ottanta attendono che lo Stato africano adempia gli obblighi. L'associa­zione stigmatizza innanzitutto il comportamento del governo di Muhammar Gheddafi. «L'ac­cordo da lei sot­toscritto a Tripoli il 28 ottobre scorso - scrive il presidente Leone Massa al pre­mier Berlusconi - che prevedeva il pagamento da parte libica dei debiti verso le imprese italiane, ammontanti a oltre 820 milioni di dollari degli anni ’80 più rivalutazione monetaria e interessi legali, entro il 31 marzo 2003, è stato disatteso fin dai primi passi della sua attuazione e alla fine bellamente calpestato e mandato in soffitta». La critica non è rivolta solo al governo della Libia, ma anche a quello italiano: «Non è accettabile e consentito che strutture governative si mostrino solerti nell'impegno a promuovere nuove relazioni commerciali bilaterali con la stessa Libia senza che si sia risolto in maniera soddisfacente e senza ricatti il contenzioso pregresso». Le imprese riunite nell'Airil paventano infine un'azione di risarcimento che potrebbe toccare anche l'Italia, visto che è uno dei due Stati firmatari di un'intésa che una delle parti non ha rispettato. «Siamo pronti - aggiunge Massa – ad azioni di boicottaggio contro le prossime iniziative economiche italiane in Libia sia a chiedere all'esecutivo italiano gli indennizzi per pagare tutte le imprese italiane creditrici della Libia. Presidente, se ci sei batti un colpo!». La vicenda ha origine alla fine degli anni 70 quando a Tripoli iniziò l'era delle grandi nazionalizzazioni. Vennero bloccati tutti i conti correnti e i committenti privati libici non ebbero più alcu­na possibilità di liquidare le azien­de con le quali avevano conti in sospeso. Da quel momento le au­torità di Tripoli hanno di fatto congelato i pagamenti e inserito la vicenda nel complesso conten­zioso italo-libico seguito alla guerra coloniale e alla relativa ri­chiesta di danni. Peraltro i crediti che mancano all'appello sono stati esclusi anche dalla garanzia Sace (l'assicurazione pubblica dei crediti all'export) che in passato, ma solo parzialmente, se ne era accollata l'impegno. E dopo anni di oblio, per cominciare a ipotizza­re una soluzione, si è dovuto at­tendere il primo disgelo nei rap­porti tra Gheddafi e l'Occidente. Così, nell'ottobre scorso, Silvio Berlusconi si è rivolto al Colon­nello Gheddafi, durante la sua vi­sita a Tripoli, nel tentativo di inaugurare una nuova stagione nei rapporti Italia-Libia. In ballo, qualcosa come 877 milioni di eu­ro non corrisposti nel periodo compreso tra il 1978 e il 1990. «Ma la cifra - notano all'Airil - è calcolata al netto della rivaluta­zione, degli interessi applicabili e del tasso di cambio».

 

 

 

 

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