«I terroristi, veri nemici dell’Islam».
Frattini: l’Italia userà il semestre Ue per incentivare il dialogo mediterraneo

dall' inviato Ezio Pasero

Del 10 giugno 2003 da Il Messaggero

DAMASCO - «Il terrorismo ha cause strutturali antiche, ma in nessun modo queste cause possono diventare giustificazioni. E' bene dirlo, perché a volte si rischia di fare discorsi che conducono involontariamente al giustificazionismo. Invece noi dobbiamo capire, spiegare, non giustificare». In procinto di rientrare in Italia dalla Siria, il ministro degli Esteri Franco Frattini traccia un primo bilancio della visita che lo ha portato nell'arco di sei giorni in sei diversi Paesi arabi. E che in Libano e soprattutto qui, in Siria, l'ex-"Paese canaglia" che gli Stati Uniti hanno di recente severamente ammonito, ha avuto come filo conduttore proprio quello del processo di pace in Medio Oriente e della lotta contro il terrorismo.
Una lotta, ministro, che non può essere dunque solo repressione, ma innanzi tutto di comprensione delle condizioni anche culturali in cui nasce.
«Il terrorismo si annida in situazioni dove non conta solo il fattore religioso. Come ha dimostrato il recente attentato in Marocco, un atto sacrilego per la dottrina musulmana ortodossa, visto che il suo sovrano è diretto discendente di Maometto. E poi l'islam è una religione che predica la tolleranza, dunque ha ragione Gheddafi che qualche giorno fa mi ha detto: i peggiori nemici dell'Islam sono i terroristi che uccidono in nome dell'Islam. L'estremismo religioso è insomma solo uno dei fattori del terrorismo, c'è piuttosto da considerare un fattore di ordine culturale, di maggiore conoscenza tra culture diverse. E' in questo senso che l'Italia può e vuole giocare un ruolo importante, nel corso del nostro semestre di presidenza dell'Unione Europea. La cultura araba e le tradizione islamiche sono da sempre oggetto di studio nel nostro Paese, ma la loro conoscenza non è diffusa, è limitata alle classi dirigenti dei Paesi. Occorre invece promuovere un'ampia base di dialogo, ed è per questo motivo che la presidenza italiana dell'Europa porterà avanti il progetto di una Fondazione euromediterranea dedicata proprio al dialogo tra le culture. Credo sia importante, perché l'estremismo ha radici anche nel senso di diffidenza reciproca tra culture diverse».
Però sono anche la povertà e la disperazione ad alimentare il terrorismo.
«E' un terzo aspetto del problema, quello della situazione economica e sociale, della povertà, della mancanza di prospettive di lavoro e di sviluppo. Anche su questo tema abbiamo qualche idea concreta: in vista del vertice euromediterraneo di Napoli del 2 e 3 dicembre prossimo, pensiamo a come realizzare un'istituzione finanziaria che si trasformi nel tempo in una vera e propria banca per il Mediterraneo, dedicata agli investimenti e allo sviluppo. E' un grande aiuto strutturale che ci chiedono tutti i Paesi che ho visitato, e che va nello stesso senso di quel Piano Marshall per la Palestina al quale il presidente Berlusconi per primo aveva pensato più di un anno fa per dare fiducia ai giovani palestinesi, rilanciando la loro economia con vere prospettive di sviluppo. Un progetto che sta a cuore agli stessi israeliani, perché la lunga crisi con i palestinesi ha messo in ginocchio anche la loro economia».
L'Italia, come presidente di turno dell'Europa, avrà anche un ruolo importante all'interno del Quartetto e delle trattative per la pace in Medio Oriente: ma si può fare la pace escludendo dai colloqui e umiliando Arafat, come hanno fatto gli americani?
«Noi siamo stati sollecitati proprio dagli Stati Uniti ad avere un ruolo più importante. Ovviamente, è un ruolo che svolgeremo senza trionfalismi, dobbiamo cercare di fare passi concreti. Quanto ad Arafat, mi sembra un falso problema: è il premier Abu Mazen che ha nelle mani il potere operativo per fare i passi in avanti previsti dalla "road map". Arafat è il presidente eletto e noi ne prendiamo atto, valuteremo una posizione comune a livello di partner europei, ma questa è una questione formale, la sostanza è che la legittimazione a trattare è stata riconosciuta ad Abu Mazen e non si possono fermare le macchine per una questione formale. Lo stesso presidente siriano Bashar Al Assad mi ha manifestato la sua disponibilità al coinvolgimento solo in una seconda fase di Siria e Libano nel processo di pace, bisogna prima trovare insieme i tempi e i modi per farlo, senza fermare un meccanismo già avviato».
Intanto dovranno essere più incisivi nei Paesi della regione cooperazione e investimenti economici, anche questo è un mezzo per aiutare la pace.
«L'Italia è già il primo partner commerciale della Siria e del Libano e fra i primi tre di tutti gli altri Paesi che ho visitato. E' anche considerato il Paese che fa cooperazione con maggiore sensibilità e convinzione, non solo perché deve, e questa cooperazione verrà ora incrementata ed estesa a nuovi settori. Ma sarà d'ora innanzi uno strumento di politica estera, nel senso che il governo intende indicare le aree strategiche di maggiore interesse, dove andare a incoraggiare la pace e collaborare al rilancio strutturale dell'economia».
Il che è anche un modo di combattere l'immigrazione clandestina...
«Questo è un aspetto strategico che ho affrontato in tutti i Paesi che ho visitato. In Libia, in particolare, le azioni comuni decise la settimana scorsa porteranno a un pattugliamento congiunto delle loro coste, per fermare il flusso di traffico dei clandestini che si servono della Libia come Paese di transito. Ma è necessario dare ai libici qualche mezzo tecnologico in più, ecco perché ci batteremo in sede europea perché venga attenuato l'embargo e consentito loro di acquistare i necessari strumenti di difesa. Sempre la cooperazione tra polizie, del resto, ci ha gia consentito in Libano di bloccare un traffico di clandestini che si riversavano lo scorso anno sulle nostre coste».

 

 

 

 

Galleria Immagini
Decennale AIRIL

Contatti

Sede Legale

Via Sistina, 121 - 00187 - Roma
(c/o DayOffice)

tel: 06-47818521 - fax: 06-47818444
email: presidenza@airil.it