Partecipazioni sotto la lente. Gheddafi, Al Waleed e gli altri: il loro peso aumenta ma l'avanzata potrebbe fermarsi qui. Finanza araba, l'espansione a Piazza Affari

di Gerardo Graziola

Del 11 gennaio 2003 da Il Sole 24 Ore

I petrodollari riscoprono l'Italia. L'anno scorso è raddoppiata la presenza nelle società quotate di capitali provenienti dall'altra sponda del Mediterraneo ma, secondo alcuni osservatori, oltre al ritorno in grande stile della Libia non c'è molto altro e non è prevedibile una "corsa" dei Paesi arabi verso le attività finanziarie italiane. "I Paesi arabi sono diventati prenditori di capitali sul mercato, in gran parte sono indebitati e in relativa difficoltà nonostante i proventi del petrolio. Difficile quindi che possa avviarsi un forte afflusso di investimenti verso l'Italia", osserva Mario Barone, esperto di finanza araba dopo essere stato per molti anni vicepresidente di Ubac-Arab Italian bank, istituto che ha tra i soci italiani Capitalia, Eni, Telecom Italia e SanPaoloImi. Un certo scetticismo si registra anche dalla Camera di Commercio Italo-Araba che segnala, in particolare, la scarsa presenza delle banche italiane nell'area, condizione essenziale per stimolare gli investimenti finanziari. Secondo un recente studio di Bankitalia, nei Paesi arabi che gravitano sul Mediterraneo la presenza di banche italiane è di poche unità, con una netta i diminuzione nel corso degli anni '90. "I Paesi del Golfo poi hanno sempre superato il Mediterraneo nei loro investimenti strategici puntando sulla piazza di Londra o sulla Svizzera per il mercato dell'oro", prosegue Barone. In effetti il protagonista assoluto del ritorno in Italia nel 2002 è stata la Libia, che, attraverso la finanziaria di Stato Lafico l'anno scorso ha acquistato un pacchetto di azioni Juventus ed è rientrata in Fiat (con il 2% del capitale) con un esborso di 145 milioni di euro, 26 anni dopo il primo, clamoroso, ingresso nel Lingotto. "I rapporti itato-libici devono ancora essere normalizzati", osserva Barone ricordando la recente visita di Berlusconi. Tra il Cavaliere e il Colonnello non c'è stata in effetti la "fumata bianca" a fine ottobre sulla chiusura del contenzioso che risale al periodo coloniale. Un canale ben collaudato per i rapporti bilaterali tra Tripoli e Roma è Capitalia: pochi giorni prima di Natale il cda della holding capitolina per la prima volta si è svolto nella capitale libica. Tra i soci del gruppo guidato da Cesare Geronzi vi è infatti, dal'97, la Libyan Arab Foreign Bank, istituto controllato dalla Banca Centrale libica. Dopo la nascita di Capitana la partecipazione nella ex Banca di Roma dal 5% si è diluita a circa il 3% ma resta uno degli investimenti più importanti che Tripoli possa vantare in Europa. "Menesi ci aveva invitato da tempo - spiegano fonti vicine al board Capitalia riferendosi alla trasferta sollecitata da Ahmed Menesi, Governatore libico, che siede nel cda di via Minghetti. Trasferta di lavoro, quindi, senza udienze dal premier libico, riferiscono le stesse fonti: dopo la riunione di nuovo tutti a bordo e rotta verso Roma. Quello di Capitalia non è l'unico "salotto buono" in cui siedono i libici. L'acquisto della quota nella Juventus (il 7,5%, di cui poco più del 5% rastrellato sul mercato poco dopo la quotazione) ha portato un figlio del Colonnello, Saadi Gheddafi, nel consiglio della società. La Lafico detiene la maggior parte del portafoglio di attività, stimato in 8 miliardi di dollari, della Jamahirya, con interessi che spaziano dall'immobiliare ai filati. Altro ingresso importante realizzato nel 2002 è quello in Finpart, holding del tessile e della moda. L'accordo con i libici ha portato all'ingresso nell'azionariato in occasione dell'aumento di capitale concluso a novembre. La quota, secondo le indicazioni disponibili in Consob, è dell'8,95%. L'escalation dei libici in primavera aveva portato all'acquisto anche del pacchetto di maggioranza dell'Olcese. Un primo investimento nel gruppo tessile presieduto da Paolo Mettel risaliva al '99. La quota della Lafico è oggi del 21%, con due consiglieri sui dieci complessivi della società. Fin qui i libici. Ma tra gli investimenti arabi in Italia c'è la storica presenze in Mediaset del principe saudita Al Waleed entrato nel capitale della holding televisiva del gruppo Fininvest nel luglio del '95. Al Waleed detiene i 2,28% del capitale e nel consiglio siede in sua rappresentanza Tarak Ben Ammar. Investimento mancato inveci per la saudita Sabic che ha interrotto le trattative con l'Eni per l'acquisto e una quota nelle attività chimiche.

 

 

 

 

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