Crediti con la Libia: aziende italiane annunciano causa al Governo.

Del 29 maggio 2003 da Il Velino Diplomatico

Le circa 120 imprese che da oltre vent'anni vantano nei confronti della Libia crediti per oltre 850 milioni di dollari (al netto degli interessi e della rivalutazione) sono d'accordo per fare causa al governo italiano, che considerano responsabile delle inadempienze di Tripoli. Lo ha detto al Velino il presidente dell'Associazione italiana per i rapporti italo-libici (Airil) Leone Massa. "Presenteremo la nostra denuncia subito dopo l'approvazione definitiva della Finanziaria", ha spiegato Massa, per il quale "il tempo dell'attesa è scaduto"."Con il ricorso alla giustizia - ha aggiunto precisando che della vicenda è già stato interessato il Parlamento europeo - chiederemo il pagamento di quanto ci è dovuto, con gli interessi e la rivalutazione monetaria, ma anche il risarcimento dei danni materiali e morali". Danni morali e materiali che dovranno essere pagati direttamente dai responsabili del mancato pagamento dei libici, da ricercare secondo Massa tra coloro che "non si sono avvalsi degli strumenti a loro disposizione per costringere la Libia a rispettare gli impegni presi con il governo italiano".Una decina di giorni fa le aziende creditrici avevano chiesto al governo italiano di "concedere una garanzia sovrana dello stato italiano alle banche per anticipare alle aziende creditrici con la Libia i soldi da loro vantati", e questo perché "molte di esse sono a rischio di fallimento". "La risposta è stato un silenzio molto eloquente e per questo abbiamo deciso di ricorrere ai tribunali", ha aggiunto Massa.L'annuncio di Massa giunge nel giorno in cui anche l'associazione dei rimpatriati dalla Libia (Airl), presieduta da Giovanna Ortu denuncia, in una lettera aperta al presidente del Consiglio, il "fallimento della politica italiana verso Tripoli". "Ad un anno dalla sua visita a Tripoli - scrive l'Airl - ci vediamo costretti a inviarle questa testimonianza di sorpresa, di indignazione e protesta per la politica da Lei attuata verso il governo libico: non si può infatti non prendere atto del fatto che la politica di riconciliazione con Gheddafi è fallita".I rimpatriati si dicono "doppiamente traditi ed offesi", primo perché "dopo due anni di dilazione il vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini si è disinteressato totalmente dell'impegno solenne assunto il 7 maggio di inserire nella finanziaria un modesto stanziamento pluriennale per gli indennizzi che attendiamo", secondo per "la politica velleitaria e approssimativa attuata dal governo nei confronti di un interlocutore abile e spregiudicato come il colonnello Gheddafi".Nella sua lettera - il cui contenuto è pienamente condiviso dall'Airil di Leone Massa - l'associazione dei rimpatriati ricorda che in occasione della visita di Berlusconi a Tripoli, "per chiudere il tormentone dei danni di guerra e del colonialismo", alla Libia non bastava più il gesto simbolico del dono di un ospedale, considerato valido fino al giorno prima del suo viaggio. "E quindi Lei, di fronte al muso duro del colonnello, aveva concesso una strada da 60 milioni di dollari, che comunque significava chiaramente il costo del solo progetto. Forse, nella cordialità stabilitasi tra Lei 'l'amico Muhammar', qualcuno dimenticò di mettere nero su bianco di che cosa si trattava. Il fatto è che nei mesi successivi i libici puntrarono di nuovo i piedi sostenendo che il suo governo si era impegnato a pagare una strada e non una bozza di carta. Ed ora si aspettano che l'Italia copra il costo dell'intero rifacimento della Via Balbia, duemila chilometri da Tripoli all'Egitto, valutato a qualche miliardo di dollari. Nell'attesa le autorità libiche hanno bloccato tutti gli impegni presi, a cominciare dai crediti alle imprese italiane e al rilascio dei visti agli ex italiani residenti, unica e povera consolazione contenuta nell'accordo del '98 per la nostra categoria". (reb)

 

 

 

 

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