Se la Libia ora tifa Usa è merito dei figli di Gheddafi

di Gennaro Sangiuano

Del 13 aprile 2003 da Libero

TRIPOLI - Alle sette in pun­to, come ogni sera, nono­stante la luce naturale sia ancora intensa, quattro enormi riflettori illumi­nano l'antica piazza colo­niale di Tripoli, prospi­ciente il lungomare e il forte turco Asserraj al-hamra. Quella che fu la piaz­za di Italo Balbo, delle adunate coloniali fasciste, che il regime di Gheddafì ha eretto a luogo delle sue liturgie ribattezzandola "piazza Verde" (dal Libro Verde del colonnello), di­venta chiara come un campo di calcio dove si gioca in notturna. Da qualche tempo i vecchi e sbiaditi ritratti di cartone del "leader" (l'appellativo con cui tutti chiamano Gheddafi), ispirati allo stile cubano e da sociali­smo reale, sono stati sosti­tuiti da moderni tabelloni fosforescenti che alterna­no, ogni venti secondi, in quattro diverse pose, l'effige della "guida della Jamahiriya". Un po’ kitsch, il colonnello finisce per sembrare lo sponsor di una marca di caffè. Di tutte le capitali arabe Tripoli è stata quella che ha conosciuto neanche il barlume di una manifesta­zione contro la guerra. La piazza, un po' per scarsa convinzione un po' per ti­more, non si è mossa. Il ferreo regime del colonnello non l'ha mobilitata e tutto è stato affidato alle dichiarazioni dei gerarchi della Jamahiriya che han­no «condannato l'aggres­sione al popolo irache­no», pur chiarendo che Saddam era un personag­gio «squallido». Musica ben diversa da quella delle capitali di governi classifìcati come filoamericani, al Cairo, ad Amman, come a Rabat. Di guerra, certo, si discute, anche accaloran­dosi, nei bar, davanti alle botteghe della Medina, la città vecchia. In Libia le contraddizioni sono tan­te, è ancora vietato portare libri e giornali occidentali non autorizzati, ma le pa­rabole satellitari sono spuntate come funghi è le televisioni in questi giorni sono tutte puntate su "Al Jazeera", se non addirittu­ra sulla Cnn. Internet è criptata e volutamente rallentata ma i giovani riescono a navigare liberamente nel web. La guerra americana, forse, non piace, ma molto meno di quanto non piaccia a Parigi, Berlino, Bruxelles o Mosca. Sulla piazza Verde la sera sfrecciano potenti moto giapponesi e la gio­ventù tripolina si da ap­puntamento allo scintil­lante grattacielo dell'Ho­tel Corinthia, inaugurato in questi giorni.

Diverso il discorso per la leadership politica, qui il terreno si fa complesso, i vecchi sogni di potenza del colonnello, in queste ore, incrociano come non mai la realpolitik. E lo spazio di manovra diventa breve. La Libia è ancora classificata da Washington come un «rouge states», Stato ca­naglia, insieme alla Corea del Nord, alla Siria, all'I­ran, al Sudan e a Cuba. Altri cominciano a parlare di «states of concern», ossia fonte di preoccupazione, una formula meno grave. Sta di fatto che il sottose­gretario di Stato america­no John Bolton ha accusa­to, più volte, esplicita­mente Libia e Si ria di aver ripre­so lo sviluppo di armi biologiche e la produzione massiccia di ordigni  chimici citando alcuni i della Cia. Il riferimento è al mistero che avvolge le fabbriche di Rabta e Tarhunah, sospettate di essere siti di produzione di armi proibite. “No comment”, risponde sprezzante il primo ministro libico Mubarak Adballah al-Shamekh, ad una chiara domanda in proposito.

Gheddafì nei suoi trentatré anni di potere è stato un pericoloso fattore di destabilizzazione della pace mondiale. Ha finan­ziato una ventina di orga­nizzazioni terroristiche mondiali, comprese l'Ira, l'Eta e le Brigate Rosse, ha alimentato    altrettante guerre, in Asia e in Africa, si è preoccupato finanche di mandare armi alla guer­riglia in Polinesia. Ha fatto eliminare i suoi opposito­ri politici (anche quelli esuli a Roma) e la sua ma­no è comparsa in alcuni gravi atti terroristici, a cominciare da Lockerbie. Si è armato fino ai denti. Tut­tavia, ha anche creato uno Stato laico, che ha com­battuto il fondamentali­smo islamico e il comunismo. L’11 settembre la svolta. Il colonnello Gheddafì esprime il suo cordoglio all'America per l'attenta­to alle Twin Tower e defi­nisce «sacrosanto» l'in­tervento militare Usa in Afghanistan. Il 5 aprile del 1999, grazie alla media­zione di Nelson, aveva consegnato alla giustizia scozzese i due libici accu­sati della strage di Lockerbie, consentendo, così, la revoca delle sanzioni Onu. Verità o facciata ? Molti dubbi restano. Qualcuno a Tripoli sussurra che si sta­rebbe rivelando decisiva l'influenza che i figli, i due maschi Seif e al-Saadi, e l'affascinante Aicha, eser­citano sul padre. Educati tutti e tre in Europa ani­mano, fra la Costa Azzurra, la Sardegna e l’Italia la più "bieca" mondanità occidentale.

La Libia ha chiesto d aderire al Wto (l'organizzazione del commercio mondiale), vuole aprirà al turismo. L'America non si fida ancora. Di tanto il tanto, il colonnello fa qualche passo indietro come lunedì scorso quan­do ha incontrato i dirigen­ti del famigerato Fronte Moro, l'organizzazione guerrigliera di fondamentalisti islamici delle Filippine che Gheddafi sponsorizza da decenni. A sessantadue anni l'ex te­nente autoproclamatosi colonnello, forse, sta ca­pendo che non è più tem­po di passi falsi. Iraq eAfghanistan docet.

 

 

 

 

 

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