Quella "subsidiary" milanese fa da consulente per Lafico.
Il colosso Abc sotto l'influenza del governo di Tripoli Nella Arab Bank il cuore dell'imprenditoria palestinese

di Carlo Festa

Del 11 gennaio 2003 da Il Sole 24 Ore

La Lafico non è l'unico braccio finanziario tramite il quale il colonnello Muammar Gheddafi fa sentire il suo peso in Italia. A fare da ponte tra il mondo arabo e la penisola c'è anche l'Arab Banking Corporation, una delle maggiori banche del Medio Oriente, attiva in mezzo mondo con 5.300 dipendenti. Gli azionisti principali della Arab Banking Corporation (Abc), che è presente a Milano, sono infatti la Kuwait Investment Authority (26,933%), la Abu Dhabi Investment Authority (25%) alcuni importanti investitori individuali ed istituzionali e, appunto, la Central Bank of Libya (26,786%), cioè la Banca Centrale Libica. Sono tre gli esponenti di Tripoli presenti nel board formato anche da consiglieri degli Emirati Arabi Uniti, kuwaitiani, sauditi e del Bahrain. I rapporti tra la Lafico e la Arab Banking Corporation sono molto stretti: l'istituto ha infatti svolto consulenza per le operazioni italiane della Lafico, come ad esempio l'acquisizione della quota in Olcese. La Arab Banking Corporation, che ha asset per oltre 26 miliardi di dollari, è quotata al Bahrain Stock Exchange e, in Europa, al Paris Stock Exchange. "L'istituto - spiega Marco Simonelli, generai manager della sede italiana - è attivo nel project financing e svolge assistenza finanziaria in diversi ambiti: nel settore petrolifero, nell'energia, nelle infrastrutture e nelle telecomunicazioni". Ha relazioni con primari gruppi italiani come Astaldi, Ansaldo, Wind ed Enel. Sul listino di Amman, in Giordania, è invece quotata la Arab Bank, la maggiore banca privata araba che ha la sede italiana a Roma. L'istituto, nato nel 1930, fa capo alla famiglia palestinese Shoman che ha la maggioranza relativa del capitale. Presente nella compagine è anche il Tesoro del governo saudita (con circa il 10%). Quote azionarie importanti fanno capo ad imprenditori arabi. Fra questi ci sono il palestinese Hassib Sabbagh (il più noto costruttore del Medio Oriente con la sua Consoli-dated Contractors Company), i cugini Masri, sempre palestinesi, proprietari della holding Padico (Palestine Development & Investment) e la famiglia Hariri, proprietaria del gigante delle costruzioni Saudi Oger. La Arab Bank ha asset totali per oltre 20 miliardi di dollari e più di 6mila dipendenti nel mondo. "La banca - spiega Martino Alonzo, direttore della filiale italiana - ha una vocazione commerciale e svolge funzioni di assistenza creditizia e finanziaria particolarmente rivolta alle aziende italiane partecipanti all'interscambio e alla realizzazione di progetti nel mondo arabo". C'è infine la persiana Bank Sepah, che ha la filiale a Roma. Una presenza motivata dal fatto che l'Italia è uno dei principali partner commerciali dell'Iran. Ha la casa madre a Teheran e può contare su oltre 17mila dipendenti: è posseduta dal governo iraniano. Fanno capo a questo istituto attivi per oltre 18 miliardi di dollari. L'attuale normativa iraniana in materia si basa su una legge approvata nel 1983 (Legge sulle operazioni bancarie non usurarie) con lo scopo di sostituire il sistema convenzionale esistente con un altro non basato sull'interesse. "Delle tre banche - conferma Gianfranco Lande, gestore della società svizzera Eurasian Pori folio Management - solo l'iraniana Bank Sepah può essere considerata una banca islamica in senso stretto, mentre le altre due sono miste, dot prevedono sia i servizi di banca ordinaria sia quelli di islamic banking".

 

 

 

 

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