Nassiriya e "resistenza", tempesta su Gheddafi jr

di Davide Gorni

Del 3 dicembre 2003 da Corriere della Sera

MILANO - "Il deserto non è silente". Dunque, parla. Ma non sempre è un bene la parola. Anzi a volte, in certe situazioni, è meglio il silenzio. Il sukut, invocato dallo stesso Corano. Perché la frase lasciata sfuggire, vola. E può causare incidenti. Persino diplomatici. Stavolta a dire una parola di troppo è stato Saif el-Islam ("la spada dell'Islam") Gheddafi, 31 anni, ingegnere per laurea e pittore per vocazione. Il secondogenito del colonnello, il più politico dei figli del leader libico. Ha detto uno "yes" di più. Ha risposto "sì", in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera e pubblicata ieri, alla domanda se giustificava azione come quella di Nassiriya. Aggiungendo: "Hai diritto di difendere il tuo Paese". Quelle parole hanno colpito, ferito. Come una "spada". E le conseguenze non si sono fatte attendere. Poco importa se, il giorno dopo, a mente fredda, l'ingegnere-artista ha cercato di riparare alle sue dichiarazioni. Con un comunicato ufficiale, in cui ha evidenziato "la mia più profonda solidarietà agli italiani e alle famiglie delle vittime per i tragici eventi a Nassiriya".
E se ha tentato di giustificarsi, affermando che "alcuni organi di stampa hanno frainteso". La frase, ormai, era scritta. Addirittura registrata su un nastro, come l'intera intervista.
Così quella che ieri a Milano doveva essere una festa tra culture e un gemellaggio tra l'Italia e Libia, ovvero l'apertura della mostra "Il deserto non è silente" sui tesori libici e sulle opere di Gheddafi junior, si è trasformata in una polemica, che ha richiesto l'intervento delle diplomazie dei due Paesi. Con il presidente della Lombardia Roberto Formigoni, impegnato tutto il giorno a riannodare i fili "di una difficile ma positiva relazione". E con il Comune di Milano che, pur confermando il patrocinio all'esposizione di Palazzo della Ragione, per voce dell'assessore alla Cultura Salvatore Carruba, ha parlato "di un'offesa che rimane. E che ferisce tutti". A causa della quale l'amministratore ha "ufficialmente" deciso di disertare l'inaugurazione.
"Non è il momento della politica. È il momento della cultura", ha ripetuto Saif el-Islam Gheddafi, con un sorriso all'apertura della mostra, a chi gli chiedeva spiegazioni su quelle parole di troppo. "L'ingegnere ha già risposto con un comunicato ufficiale", gli ha fatto eco l'ambasciatore libico presso il Vaticano, Adbulhafed Gaddur, che non lo ha più abbandonato un solo attimo per tutta la durata della visita alle sale espositive. È stato lo stesso Gaddur, assieme all'incaricato degli Affari libici in Italia Eric J. Lyman, ad accompagnare ieri pomeriggio il figlio del colonnello nell'ufficio del presidente Formigoni per "spiegare" quelle affermazioni sulla strage di Nassiriya. Dopo una mattinata di telefonate incrociate tra Milano, l'ambasciata a Roma e Tripoli. Per un'ora il presidente della Regione e Gheddafi junior hanno parlato, faccia a faccia, per cercare di chiarire l'accaduto. Alla fine dell'incontro, il comunicato. Con la solidarietà alle vittime italiane e irachene, con la giustificazione "delle dichiarazioni fraintese. Il mio Paese è e vuole restare buon amico dell'Italia. Sono fermamente convinto - ha aggiunto il figlio del leader libico - che la violenza, in nessuna forma, non sia il modo migliore per risolvere i conflitti tra i "popoli, per il loro stesso interesse".
Una mediazione diplomatica, subito riferita da Formigoni a Palazzo Chigi. "Quest'ultima dichiarazione - ha commentato il presidente della Lombardia - onora le vittime italiane e le loro famiglie. Ed esprime la volontà della Libia a restare amica dell'Italia". Insomma "un risultato importante" che mette in risalto, come ha aggiunto l'ambasciatore Boris Biancheri, pure presente ieri in Regione, "una tendenza molto chiara che è quella di instaurare, mantenere e sviluppare buoni rapporti tra i due Paesi".
Tutto chiarito, dunque. Per l'ingegnere-artista. E per Formigoni, che ha presenziato all'inaugurazione della mostra. Dove, stavolta, Gheddafi junior ha parlato solo di cultura, delle sue opere d'arte. E della "voce" del deserto.

 

 

 

 

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