«Nella resistenza tutto è lecito, anche Nassiriya»

di Francesco Battistini

Del 2 dicembre 2003 da Corriere della Sera

MILANO -  Sul tavolo, il taccuino dell’hotel e un numero ricalcato a matita: 54. «Cinquantaquattro iracheni ammazzati in un giorno ! Civili, non militari. Compresi i bambini ! E’ un massacro, un’atrocità ingiustificata, un crimine di guerra…». Sesto piano, suite (quasi) presidenziale. Il telecomando fisso su Al Jazeera, scorrono gli aggiornamenti dal mattatoio Iraq. Saif el-Islam («la spada dell’Islam») Gheddafi, 31 anni, il più politico dei figli del colonnello, probabile candidato alla successione, è qui per trattare affari di turismo e inaugurare con Albertini e Formigoni la mostra dei tesori libici a Palazzo della Regione.

Saif parla quattro lingue, insegna a Vienna, somiglia poco al fratello calciatore sospettato di doping («di calcio non so nulla»). Lui dipinge, scolpisce, spiega che a papà «piacciono le mie opere, anche se di solito gli arabi sono poco interessati: per secoli, s’è creduto che i ritratti, i colori fossero contro l’Islam». L’unico disegno che gli riesce oggi, però, è quel 54 a matita.

Ingegner Gheddafi, come si esce da questo incubo del terrore ?

«Ormai è troppo tardi. La situazione è fuori controllo. Non si può fare più nulla. Il tempo è scaduto».

Scaduto ?

«L’ultima volta che venni in Italia, parlai dei volontari arabi pronti a partire per l’Iraq. Allora, pochi pensavano a un pericolo reale, ma lo sapevo che c’era gente pronta. Perché questo è il punto: voi state creando un nuovo Afghanistan. Molti arabi vanno là, combattono, diventano violenti, aggressivi, sanguinari, fanatici. È fra due, tre, dieci anni, se torneranno dall’Iraq nei vostri Paesi, magari anche sconfitti, lo faranno per portare nuova violenza. Molte cose potranno accadere. Gli americani, gli arabi, voi europei soffrirete a lungo, sono sicuro. Questo è il vero pericolo che vi aspetta. Per di più adesso ci sono depositi di armi e munizioni, in Iraq, e nessuno sa dove stanno, quando verranno tirate fuori, da chi».

Le dice «combattenti». Non sarebbe meglio parlare di terroristi ?

«Le giro la domanda: chi sono i terroristi ? Chi sta ammazzando un popolo e occupando un Paese ? O chi si sta solo difendendo ?».

Anche i kamikaze ?

«Gli iracheni stanno combattendo, non sono terroristi. Chiaro, stanno terrorizzando gli americani e voi europei state occupando quel Paese. Hanno il diritto di difendersi, fanno resistenza. In questa fase, l’unica loro possibilità è seminare terrore».

Quindi lei giustifica azioni come quella di Nassiriya ?

«Sì. Hai il diritto di difendere il tuo Paese» (interviene l’ambasciatore libico a Roma, presente all’intervista: «Forse l’ingegnere non si è spiegato bene, il senso è che quando sei in guerra ci sono purtroppo anche queste azioni…»).

Ma il governo di Tripoli non aveva cambiato opinione sul terrorismo, dopo i risarcimenti di Lockerbie ?

«Questo non c’entra con l’opinione che io ho di questi fatti, se mi piacciano o non mi piacciano. Questo è un fatto: se stai difendendo la tua famiglia, la tua vita, il tuo Paese, giustifichi ogni azione, perché ti ritieni in diritto di difenderti».

Mesi fa, si diceva che per Saddam era pronta una via di fuga in Libia. Dov’è, secondo lei ?

«E’ vivo, sta in Iraq. Trovo abbastanza divertente che gli americani si affannino tanto a cercarlo, ora che la giustificazione che ha portato a questa guerra è fallita. Non c’erano armi di distruzione di massa, non c’era nulla. C’è solo una grande ipocrisia. Tutto il mondo ne è stato testimone. L’unico motivo era di rovesciare Saddam Hussein. Okay. E perché ? Per armi chimiche che non c’erano ? Perché era una dittatura ? Perché perseguitava le minoranze ? In tutta la regione araba ci sono molte minoranze che vengono perseguitate».  

Conosceva bene i figli di Saddam ?

«Sì, avevo buoni rapporti con loro, andavo spesso in Iraq».

La sua fondazione umanitaria si occupa ancora dei supporter di Al Qaeda ?

«Sì, ci occupiamo di alcuni casi di persecuzione. Bambini, gente incarcerata senza processo, senza procedure trasparenti. Un esempio è quello dell’ambasciatore talebano in Pakistan, detenuto a Guantanamo in maniera assolutamente illegale». 

Fra Italia e Libia c’è il problema dei clandestini: riuscite a fermarli ?

«Primo, tocca all’Italia darci le attrezzature, soldi e radar, per guardare le nostre coste e contrastare questo traffico. Secondo, Italia e Libia devono cooperare per creare progetti, lavoro in quelle aree da cui provengono i clandestini. Se la gente ha una vita decente a casa propria, non va a rischiarla in mezzo al mare. La Libia è una vittima di queste migrazioni esattamente come l’Italia. Abbiamo più di due milioni d’immigrati che sono pronti ad attraversare il mare. Questo è un problema che non possiamo affrontare da soli, l’Unione Europea ci deve aiutare».

Oggi lei incontra Alberini e Formigoni, membri d’una maggioranza politica molto amica di Israele. Ne parlerete ?

«Non parleremo né d’Israele, né di Medio Oriente. Sono qui per fare cultura e affari».

 

 

 

 

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