Zamberletti parla della matrice libica su Bologna ed Ustica

di Ruggiero Capone

Del 4 settembre 2003 da L' Opinione

Giuseppe Zamberletti, sottosegretario agli Esteri nel 1980, ricostruisce le vicende internazionali di quella lontana estate. Spiega perché la tragedia del Dc9 dell’Itavia (strage di Ustica) e quella di Bologna debbono essere considerate rappresaglie dei servizi segreti libici, di quella “grande Jamaeria” che ha sempre alimentato il terrorismo arabo in Occidente. 
Le parole di Zamberletti sono la risposta a Muammar Gheddafi che, con ogni mezzo (anche grossolano), tenta di non risarcire le tante vittime europee della sua Jamaeria.

Ha letto le ultime dichiarazioni di Gheddafi su Ustica?
Appare evidente che con l’emissione di responsabilità libica su due bombe non voglia pagare anche un risarcimento per Ustica.

E la storia dell’attentato ad Ustica per colpire Gheddafi?
Assurda menzogna! E’ Impensabile che potesse viaggiare su un vettore dell’Itavia. I libici non vogliono pagare, punto e basta. Io ero a Malta il 2 agosto dell’80, e rileggendo i fatti si evince che gli eventi erano collegati tra loro: tra Ustica e bomba a Bologna c’è parallelismo. L’aereo Itavia partiva da Bologna, il gruppo di fuoco libico era a Bologna. L’Italia in quel momento firmava l’accordo dell’autonomia per Malta. 
L’Italia s’impegnava a difendere Malta, che fino a quella data era stata sotto tutela libica. Nasce la controversia italo-libica, perché il presidente maltese Mintoff si voleva sganciare dalla Libia con l’aiuto italiano, affidando ad una società italiana gli studi sul petrolio maltese, che i libici consideravano di loro proprietà. I libici inviarono motovedette militari per invitare il personale italiano ad abbandonare la piattaforma della Saipem nel Mediterraneo: Lagorio ben ricorda l’episodio.

Perché?
Tra Italia e Libia ci fu un momento di tensione, perché Malta era avamposto libico nel mediterraneo. E poi Cossiga decise di collocare i missili in Sicilia, a Comiso, di fronte alla Libia.

E poi le bombe della Jamaeria libica?
Il collegio peritale per Ustica, presieduto da Aurelio Missiti, vide tutti a favore della bomba. Poi spuntò senza suffragio di prove la teoria politica della quasi collisione. Il professor Barzocchi ha sempre sostenuto che la semicollisione è teorica ed astratta. Anche il collegio dei periti del giudice Priore concluse per la bomba. Il partito del missile è un partito politico anti-Usa: ma il missile lascia delle tracce, ed allora tutti ripiegarono sulla teorica semicollisione. Fu un vero depistaggio per favorire la teoria del missile.
 
Chi in Italia tramestava per il missile?
La componente dei servizi che flirtava con i libici: la tesi del missile allontanava la responsabilità da Gheddafi. Era una politica doppia nei confronti della Libia: il partito filolibico ha operato attraverso la forte presenza dei servizi, soprattutto dopo la parentesi iper-atlantica di Cossica.
 
Entriamo nei particolari?
Andiamo indietro di 24 anni, all’epoca ero sottosegretario agli Esteri: incaricato in particolare di svolgere i negoziati con Malta, per l’accordo operativo relativo alla garanzia militare ed all’aiuto economico alla Repubblica maltese. Io mi sarei solo limitato agli aspetti politici. Ma eventi tragici hanno funestato la prima parte del 1980, con le stragi di Ustica e di Bologna. 

Perché?
La seconda metà del 1979 e la prima metà del 1980 furono caratterizzate da un radicale, anche se forse non avvertito, mutamento di politica internazionale dell’Italia. E’ pur vero che la continuità dei governi democristiani poteva dare la sensazione che fosse sempre costante l’asse della nostra politica estera. Ma al governo Andreotti, notoriamente più aperto nei confronti dei paesi del mondo arabo, come la Libia, succedette il Governo Cossiga che rappresentò un mutamento di linea. Anche nei rapporti est-ovest ci fu un mutamento di linea rispetto ad una tradizione sempre atlantica: ma tuttavia più problematica nei confronti dell’est del governo precedente. L’elemento più importante di quel mutamento, che domina la scena politica fra la fine del 1979 e l’inizio del 1980, fu la decisione italiana di schierare i missili nucleari in Italia.

Puntati contro gli alleati africani dell’Unione Sovietica?
La decisione di Comiso. Schierare i missili nucleari rappresenta il traino, rispetto ad altri paesi europei, che erano incerti sulla scelta e, probabilmente, una scelta diversa dell’Italia avrebbe fatto franare tutta la politica atlantica di schieramento in Europa di missili nucleari. Non è stata, pertanto, una decisione di poco conto. C’è stato un cambiamento di linea significativo, che ha rappresentato l’inizio di una tensione non solo politica sulle piazze, ma un cambiamento di linea più filo-occidentale a cui si è aggiunto l’accordo di Malta.

In pratica gli accordi tra Italia e Malta hanno scatenato il terrorismo libico in Italia?
L’accordo con Malta ci portava a dare la garanzia militare ad un piccolo paese del Mediterraneo, chiave importante dei rapporti internazionali, che fino a quel momento era stato sotto una pregnante influenza del governo di Tripoli. Senza dubbio questa fu una decisione alla quale tenevo molto, che si collocava in un momento in cui la repubblica di Malta era, come è noto, anche uno snodo importante dei rapporti esterni della Libia. La Libia si valeva di Malta per tutti i suoi collegamenti, coperti e non, con l’Europa e con gli altri paesi. V’è da aggiungere come il nostro sia un paese che scrive le cose e poi fa diversamente: non è detto che a Tripoli dovessero pensare che noi, in realtà, prendiamo gli impegni e non li manteniamo. Generalmente, si leggono queste cose per ciò che c’è scritto e significano. In sostanza, decidevamo, unilateralmente, di fornire protezione a questa piccola isola, in un momento di tensione politica con la Libia.
 
Prima delle bombe ci furono minacce libiche?
Andiamo per gradi. Malta subiva una grande influenza libica, ma il governo Mintoff aveva deciso, per quanto riguarda lo sfruttamento politico del mare circostante, di procedere alle ricerche ed anche allo sfruttamento di quella che la Libia considerava la sua piattaforma continentale. Gheddafi aveva fatto capire che questa cosa avrebbe rappresentato un atto di ostilità nei confronti della Libia, che era sempre stata beneficiaria e che beneficava il nostro paese di rapporti economici e politici particolari. Questa radicale modifica di politica internazionale non poteva non portare alcune tensioni che, nella mia posizione di sottosegretario agli Esteri, avevo letto bene perché c’erano stati dei segni premonitori molto importanti. Il primo segno premonitore è quello del capo del Sismi, generale Santovito. Ricordo che una sera, avendomi incontrato, mi volle parlare di questo tema e mi disse: “lei sta grattando la schiena della tigre; stia attento perché questo gesto va in direzione opposta ad una politica di amicizia e di rapporti particolarmente collaborativi che abbiamo tenuto sempre con quel paese”. La seconda, mi è venuta da una fonte autorevole. L’allora presidente della commissione Esteri, Andreotti, che in quel periodo non aveva incarichi di governo e mi telefonava per dirmi: “stai attento, abbiamo buone relazioni commerciali ed economiche con la Libia; so che questo gesto di fornire la garanzia militare e, quindi, anche di creare un’antenna militare a Malta, perché sia presidio di questa garanzia, viene letta a Tripoli come un’operazione in funzione anti-libica e, quindi, i nostri rapporti economici possono subire un danno da questa decisione”. Ed aggiunse: “perché per questa piccola isola del Mediterraneo dovremmo mettere in discussione i rapporti che abbiamo da tempo con un paese che è un grande rifornitore di petrolio del nostro paese ed è anche un paese con cui abbiamo buone relazioni economiche?”. Il terzo segnale è l’interpretazione autentica. Una delegazione libica venne alla Farnesina e mi espose l’ostilità libica alla conclusione di questo accordo: “state facendo un gesto che mette a repentaglio i nostri rapporti; non possiamo non leggere con preoccupazione un cambiamento di atteggiamento come questo”. Ancora: “questa cosa si aggiunge allo schieramento dei missili nucleari a Comiso, di fronte alla coste libiche, non possiamo non intravedere un combinato disposto di due minacce che vengono proiettate dal vostro paese nei nostri confronti”.
 
E poi gli attentati?
Allora davo alla reazione libica una lettura di carattere economico, politico, commerciale e non ho mai pensato che potesse sfociare in qualcosa di diverso. Mi risulta, del resto, che anche al presidente Andreotti, interrogato dal giudice Priore (che indagava sulla tragedia di Ustica), non è mai passato per la testa che la reazione libica si potesse leggere diversamente da una normale protesta. Tutti, forse, abbiamo dimenticato che la politica internazionale si fa con le note di protesta, ma in certi casi si fa anche con operazioni che non sono propriamente ortodosse. Del resto accusiamo di questo addirittura le grandi potenze, che dovrebbero avere ancora più senso di responsabilità. Senza dubbio, quindi, ci sono nelle relazioni internazionali, anche alcune modalità di risposta, che non sono ortodossi, alle volte anche drammatici, ma che fanno parte dello scenario internazionale. 

Perché nacque in lei questo sospetto per Ustica?
Il sospetto nacque a Malta, il 2 agosto 1980. Quel giorno mi ero recato nell’isola per un incontro calendarizzato da tempo. Cioè la sigla dell’accordo che precedeva la cerimonia della ratifica. Con la sigla dell’accordo le due parti pongono fine al negoziato, definiscono che le clausole negoziali sono state totalmente accettate dalle parti, per cui il momento della ratifica fra i governi e della ratifica parlamentare non è altro che un atto formale, non potendo poi le due parti unilateralmente modificare i termini dell’accordo. Non si trattava, quindi, di una cosa episodica. Si trattava di un momento calendarizzato da tempo e noto agli addetti ai lavori dell’una, dell’altra e di altre parti. La cerimonia era fissata per le ore 10. Alle ore 10 ero dal capo del Governo Maltese, Mintoff, il quale iniziava un prolungamento del negoziato: l’accordo prevedeva anche che le navi da guerra delle due superpotenze non potessero operare a Malta e neppure avvalersi dei cantieri navali. Mintoff aveva avuto un ripensamento, perché i cantieri navali maltesi erano in crisi. Quindi voleva stralciare dall’accordo le navi appoggio: sostenendo che l’accordo parlava di navi militari e non di navi appoggio. Era, allora, cominciata una discussione. Ero assistito in quel frangente dal capo di Gabinetto del presidente del Consiglio, Berlinguer, che aveva anche la funzione di capo del Contenzioso Diplomatico della Farnesina. C’eravamo impuntati nel voler imporre (sostenendo come le navi appoggio fossero classificate come navi militari) che nessuna nave militare delle due superpotenze, armata o non armata, avrebbe potuto utilizzare il porto de La Valletta, quindi utilizzare i cantieri navali di Malta. Mintoff insisteva, dicendo che le condizioni dei cantieri erano difficili. Mentre ferveva questa discussione, giunse al Capo di Gabinetto la notizia di un’esplosione a Bologna.
 
I servizi segreti libici operarono la strage di Bologna e poi quella di Ustica per dirci che non rinunciavano a Malta?
C’è una frase che sfugge a Mintoff in quel momento: “Che coincidenza!”. Quella frase mi perseguita da vent’anni, perché le coincidenze sono legate anche ad una sintomatologia chiara e, quindi, ad alcuni elementi: l’invito e la richiesta di interrompere il negoziato. Quando tornai a Roma, insieme a tutta la delegazione italiana, c’era con me anche l’ambasciatore Foresti, che adesso è ambasciatore all’Ueo: eravamo perseguitati da questo fantasma. Ebbi modo di parlarne subito al presidente Cossiga al suo ritorno da Bologna e di chiamare il generale Santovito. Gli dissi: “caro generale, mi ha detto che grattavo la schiena della tigre; non è che la tigre ci ha dimostrato che su questa politica estera si possono ricevere degli schiaffi?” Ustica entra in scena dopo. Perseguitato dall’angoscia personale di non aver letto certi elementi, chiedo al prefetto Mosino (mio collaboratore al ministero) di avere un colloquio con Parisi, diventato da poco Capo del Sisde. Andiamo a cena. Parisi ascolta questa mia ipotesi con tutti gli elementi che gli ho portato e dice: “c’è una sola cosa che non mi convince. Se si dovevano dare dei segnali, perché si aspetta solamente il momento della vendetta?”. A quel punto ci doveva essere ancora la ratifica parlamentare, ma certamente dei segnali potevano essere dati prima. Allora, abbiamo passato in rivista tutti i segnali. C’era, fra l’altro, l’ipotetico segnale di una bomba non esplosa a Milano: come sempre gli attentati non riusciti si dimenticano. Rividi le date. Un mese e mezzo prima avevamo tentato, in quanto alla Farnesina erano un po’ spaventati, di coinvolgere anche la Francia: cioè farci spalleggiare da qualcuno, perché nella vecchia ipotesi, per garantire la neutralità di Malta, questo accordo avrebbe dovuto coinvolgere la Francia ed anche due paesi di sponda africana, cioè la Libia e l’Algeria. Era un accordo vecchio che, però, stava cambiando natura perché era solo di parte europea. L’Algeria si guardava bene dal mettersi in questo guaio.
 
Allora?
In quel momento il ministero degli Esteri era quasi in sede vacante. Il povero Franco Maria Malfatti, che era ministro degli Esteri, era stato colpito da un infarto e non poteva esercitare le sue funzioni, che di fatto venivano da me esercitate. Il aapo degli Affari Politici della Farnesina, l’ambasciatore Gardini, consigliò di provare a “richiamare in servizio” la Francia. Così andammo a Parigi. I francesi ci dissero: “bellissima idea, però no, grazie, ma non vogliamo entrarci: siamo già impegnati nel Ciad ed abbiamo un contenzioso enorme; se ci associamo anche noi, aumenta la lettura ostile da parte di Tripoli”. Quindi, pur invitandoci a procedere perché ritenevano utile questa cosa, in realtà ci lasciano andare avanti da soli. Questa azione parigina coincide con la vicenda di cui oggi parliamo, che è la tragedia di Ustica.
 
Cosa hanno di simile Ustica e Bologna?
La coincidenza dei tipi di esplosivo che, peraltro, mi è stata sottolineata in un colloquio proprio dal magistrato Giovanni Salvi, che mi fece presente anche il problema degli inneschi.

 

 

 

 

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