Mantica spiega il significato della visita a Gheddafi. 
E sottolinea: ridare a Tripoli la Venere di Cirene ? Costituirebbe un regalo

di Gloria Sabatini

Del 30 ottobre 2002 da Secolo d' Italia

Roma – La visita di Silvio Berlusconi a Tripoli e il lungo faccia a faccia con il colonnello Muhammar Gheddafi rappresentano un atto significativo sulla strada del miglioramento dei gelidi rapporti tra Italia e Libia. Molti nodi, però, restano ancora da sciogliere per archiviare il passato e risolvere i contenziosi con il governo di Tripoli che nel ’70 ha espulso la comunità italiana. “L’incontro, che per la prima volta è avvenuto al livello dei due massimi leader, ha avuto il merito di definire i termini della questione” tiene a precisare Alfredo Mantica, sottosegretario agli Esteri, che ribadisce l’importanza della riapertura di un tavolo bilaterale dopo i fallimenti del recente passato, e in particolare di Lamberto Dini e Massimo D’Alema, anche se ammette la complicata matassa diplomatica è tutt’altro che sbrogliata.

Quali risultati ha ottenuto Berlusconi ?

  Durante il vertice si è parlato della concessione dei visti agli italiani espulsi e dell’avvio operativo del riconoscimento dei crediti alle nostre imprese. Impegni tutti ancora da verificare. Ovviamente quando il nostro presidente del Consiglio sottolinea il superamento del passato, concetto ampiamente condivisibile, occorre capire che cosa intenda con questa parole la controparte libica.

Un argomento ancora molto spigoloso… 

Ovviamente. Ritengo che la donazione di un ospedale di eccellenza alla Libia possa costituire uno strumento significativo per siglare questa “tregua” e, nello stesso tempo, in linea con una tradizione di consolidata amicizia con il popolo libico. Si tratta di un gesto simbolico ma anche molto concreto, visto che parliamo di un investimento di cento miliardi.

Qual’e il significato politico di questa riapertura da parte del governo italiano ?

È l’avvio di un percorso necessario dopo la vicenda frettosolamente chiusa da D’Alema e Dini nel ’98. Il governo di centrodestra ha voluto riaprire il “dossier Libia” e, con la visita di Berlusconi, ha focalizzato gli argomenti attualmente sul tavolo del confronto italo-libico.

In che cosa fallì D’Alema con il suo lodo ?

Era stato previsto un sistema molto farraginoso per istituire un fondo per le nostre imprese, un meccanismo complicato che non ha funzionato. Quel che conta in questo momento è il superamento di quello schema e la riapertura del negoziato che resta un atto significativo importante, anche a fronte delle lacune della commissione italo-libica istituita nel ’98. Per ora abbiamo aperto una porta. È già importante che i due capi di Stato si parlino e che si siano riavviati i motori della commissione. Fino alla visita di Berlusconi il dialogo era avvenuto attraverso i ministeri.

Quali sono gli ostacoli maggiori a un reale disgelo ?  

Diciamo che per ora  abbiamo individuato i termini del problema. Siamo di fronte alla volontà di superamento delle ferite del passato e del ripristino di rapporti normali con un Paese che è strettamente legato alla storia d’Italia anche per la sua posizione geografica nel  Mediterraneo.

Anche Gheddafi dovrebbe avere i suoi interessi nazionali a rientrare, attraverso il recupero dei rapporti con Roma, nella famiglia occidentale…

Certamente, anche se il leader libico deve buona parte della sua fortuna politica all’orgoglio nazionale e alla rigidità dei rapporti con l’Italia. A mio giudizio il contenzioso con Tripoli ha già trovato nel corso degli anni una serie di sistemazioni: oggi l’Italia può anche entrare nell’ordine di idee di un  gesto simbolico, ma attendiamo che un gesto simile, magari di natura morale, arrivi anche dalla Libia. Quando queste due condizioni saranno rispettate saremo felici di aprire una nuova pagina nei rapporti tra i due Stati.

In questa direzione si colloca la restituzione della “Venere di Cirene”, che Berlusconi ha già detto essere pronta per ritornare in Libia. Lei condivide la posizione di alcuni esponenti di An, anche a livello di consigli regionali, che chiedono un impegno del governo a stabilire una linea internazionale, coinvolgendo l’Unione europea, sull’annosa questione della restituzione dei cosiddetti “bottini di guerra” ?

È un argomento molto delicato al quale la Destra è giustamente sensibile. Innanzitutto dobbiamo chiarire: non esiste un “principio culturale”. Nel caso della Libia è sbagliato parlare di “restituzione” in senso stretto. Faccio qualche esempio: la restituzione della stele di Axum all’Etiopia è legata a un documento, il trattato di pace, un impegno sottoscritto per ben tre volte dal governo italiano. Non si tratta perciò di un atto di liberalità ma dell’adempimento di un dovere. Posso dire che al posto dei miei predecessori non l’avrei firmato.  Quindi siamo all’interno del rispetto dei patti e della credibilità internazionale dell’Italia  che non coinvolge problematiche di natura culturale. Sulla Venere di Cirene il discorso è diverso: costituisce un atto di liberalità, non esiste nessun trattato che ce ne imponga la restituzione.

Il suo parere ?

Si può prendere in considerazione la restituzione al momento di chiudere il contenzioso, per saldare il rapporto con la Libia. A suggello di un nuovo impegno potrebbe rappresentare un gesto significativo e importante. Nessuno mi può impedire di regalare una cosa, ma – lo ripeto – sarebbe un regalo. 

 

 

 

 

 

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