Berlusconi vede Gheddafi: una pietra sul passato

dall' inviato Paolo Di Caro

Del 29 ottobre 2002 da Corriere della Sera

TRIPOLI - Dice che "l'imperativo categorico è guardare al futuro", che non si deve più "considerare un passato che ci ha visto divisi". Dice che "è giunto il momento di mettere la parola fine" a un'epoca di rapporti tesi, difficili, spigolosi, dice che è veramente ora di "mettere una pietra sul passato". ma, prima di sedersi a cena con Muhammar el Gheddafi, con il leader, come tutti lo chiamiamo qui, e dopo un primo incontro mattutino con lui, Silvio Berlusconi appare più stanco e provato che soddisfatto. E lesina i suoi tradizionali, superottimistici sorrisi. Perché la sua visita a Tripoli è stata più difficile del previsto. Perché il progetto di arrivare qui in Libia e chiudere definitivamente (e onorevolmente, come gli chiedono i suoi alleati, soprattutto di An) un contenzioso che si trascina da troppo tempo è realizzato solo in parte. Perchè - come ammette lo stesso presidente del Consiglio - Gheddafi sarà pure un uomo "disponibile ad ascoltare, appassionato", ma se vuole giocare a braccio di ferro, è bravissimo: "Signori, è da 33 anni alla guida del governo…gliel'ho detto, lei è un vero professionista super, io sono un dilettante…". È insomma un bilancio di luci ed ombre quello della visita di Berlusconi a Tripoli, la prima di un premier italiano dopo quella di D'Alema nel '99, anche se dopo la cena le posizioni tra Italia e Libia appaiono molto più vicine e viene siglato un documento che pone le basi di una futura collaborazione che, dice Berlusconi "aiuterà a incrementare i rapporti con vantaggi per le nostre imprese". Il Cavaliere era venuto qui armato di buone intenzioni, cioè con l'offerta, a mo' di gesto in qualche modo liberatore per anni di colonialismo, della ristrutturazione e del rilancio di un ospedale locale o, in alternativa, della costruzione di una strada per collegare il nord e il sud del Paese (il progetto è varato, costerà all'Italia 60 milioni di euro), oltre al dichiarato impegno a restituire la statua della venere di Cirene. Il motivo per cui l'Italia ci tiene tanto ad avere buoni rapporti con Gheddafi lo spiega lo stesso Berlusconi: "Il 25% del nostro fabbisogno energetico viene dalla Libia, e presto con la costruzione del nuovo gasdotto arriveremo al 30%. Dunque…". Ma Gheddafi, che in cambio avrebbe dovuto risolvere la questione dei visti per gli italiani che furono cacciati da qui nel '70 (risultato ottenuto) e soprattutto sbloccare i contratti e regolarizzare i crediti delle imprese nazionali che operano in Libia, si è battuto come un leone fino alla fine. Perché, ha spiegato lo stesso premier "mi ha evocato i drammi che la Libia ha subito a causa del colonialismo: la deportazione ai cittadini libici, i morti, i feriti, gli handicappati e gli invalidi provocati dalle mine…Mi ha parlato di cose che per un popolo sono difficile da dimenticare". La sua stessa famiglia, ha continuato a raccontare il premier "è stata duramente colpita, lui è stato ferito da una mina che si presume fosse di origine italiana". Tutti motivi per cui, sintetizza il Cavaliere, i libici "si aspettano un grande gesto", e le cifre che l'Italia ha prospettato per la riparazione appaiono "inferiori all'attesa della controparte libica". Per questo Berlusconi sa che questa visita non può considerarsi decisiva: "Una parte di accordo si può concludere, però l'impegno temporale per arrivare ad un'intesa su tutti i dettagli tecnici sarà di un paio di mesi". C'è però modo, tra un tira e molla e l'altro, di parlare anche d'altro nel doppio incontro di Berlusconi con Gheddafi, il primo al mattino sotto la mitica tenda e il secondo a cena, nella Bab El Azizia, la residenza del Leader, fra i tavoli all'aperto e onnipresenti statue di aquile, il simbolo del Paese. "Sì, abbiamo parlato anche di terrorismo", racconta il premier, spiegando che c'è l'impegno del suo interlocutore "alla collaborazione anche per quanto riguarda l'immigrazione clandestina, la lotta alla criminalità organizzata e la decisione di non dare asilo alle organizzazioni terroristiche". Terreno delicato, che però in questa giornata afosa di fine ottobre, in questo clima "cordiale" e visibilmente così teso, sembra quasi un terreno facile su cui poggiare i piedi.

 

 

 

 

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