Quegli strani affari della Lafico
La Finanziaria di Gheddafi si appresta a sottoscrivere l’aumento si capitale Finpart. A condizione che serva a salvare le proprietà industriali del colonnello in Italia

di Nino Sunseri

Del 24 ottobre 2002 da Libero

MILANO – Il colonnello Gheddafi, a quanto pare, ha preso gusto alle delizie della Borsa di Milano. È ancora caro al suo ricordo l’investimento in Fiat che in dieci anni, fra il 1976 e il 1986, permise alla Lafico, braccio armato del regime sui mercati internazionali, di moltiplicare per quattro (o quasi) l’investimento iniziale nella casa automobilistica torinese. Da un paio d’anni la Lafico è tornata a frequentare Piazza Affari e, a quanto pare, oltre alle virtù, ha cominciato ad apprezzarne anche i difetti. Due soprattutto: l’utilizzo delle scatole cinesi e le operazioni in conflitto d’interesse. Esenti da questa definizione il nuovo investimento in Fiat (che rischia, però, di rivelarsi meno fortunato del precedente ancorchè più modesto) e quello nella Juventus. Per il resto gli uomini di Gheddafi stanno per mandare in scena un copione frusto e sgradevole. Protagoniste due società tessili quotate in Borsa: Olcese (grande blasone un po’ appannato e conti in forte disordine) e la Finpart (piccola finanziaria che possiede marchi rinomati fra cui Frette e Cerruti). Educatamente l’operazione che i finanzieri libici hanno in mente viene definita come un aggressivo ricorso al sistema della leva finanziaria. L’immagine più vicina (volendo rispettare le regole del bon ton) è quella di una catena di Sant’Antonio. Il problema è questo. La Lafico, insieme ad un’altra, società africana (Sociètè Togolaise de Coron) e ad una non meglio conosciuta finanziaria con sede nelle Isole Vergini, un noto paradiso fiscale, ha acquistato Olcese. Probabilmente i libici non hanno fatto un grand’affare perché il vecchio cotonificio va male. Anzi, malissimo, visto che ha 88,7 miliardi di euro di debiti a fronte di 16,7 miliardi di patrimonio e ha un margine prima di ammortamenti, tasse e oneri finanziari, negativo di 1,7 milioni di euro. Insomma Olcese è un’azienda molto ammalata. Ha immediato bisogno di una trasfusione di denaro fresco per sopravvivere e progettare un futuro possibile. I libici, però, si sono resi conto che, forse, l’investimento non è stato un grande affare e, davanti alla prospettiva di doverci rimettere altro denaro, hanno costruito un’operazione un po’ barocca e chiaramente in conflitto d’interesse. Hanno cioè annunciato che sottoscriveranno un aumento di capitale di Finpart (il collocamento di 100 milioni di euro partirà lunedì 28 ottobre) a condizione che Finpart versi una parte di questi soldi nelle esauste casse di Olcese. La Borsa ha sottolineato l’annuncio con una serie di ribassi che nemmeno l’arrivo di advisor di gran fama come Interbanca e Aldo Rivolsi è riuscito a fermare. Per gli azionisti di Finpart i problemi sono evidenti: l’azienda cui partecipano ha già molti problemi perché ha debiti per 450 milioni di euro e perdite pari a un quarto del fatturato. E allora per quale ragione deve essere costretta a regalare soldi all’Olcese che sta messa addirittura peggio ? La risposta risiede nel ruolo della Lafico che sfruttando il fatto di essere proprietaria di Olcese e grande azionista di Finpart, sta cercando di tirarsi fuori dai guai con le risorse sottratte al mercato e ai soci di minoranza. Decisamente furbi questi libici. Ma la Borsa di Milano non è esattamente un suk.

 

 

 

 

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