Crediti in Libia, nuovo round.
In vista di un viaggio di Berlusconi a Tripoli cresce la pressione delle imprese in attesa dei pagamenti

di Bruno Dardani

Del 22 ottobre 2002 da Il Sole 24 Ore

ROMA – Millesecento miliardi di vecchie lire, ovvero circa 877 milioni di euro, che salgono a un miliardo 755 milioni di euro se si considerano al minimo gli interessi legali maturati. A tanto ammonta il credito che 120 imprese italiane (probabilmente molte altre non figurano ancora nella lista ufficiale della Farnesina) vantano nei confronti della Libia. Si tratta di crediti per lavori e servizi effettuati in Libia nel periodo tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, e risucchiati nell’eterno contenzioso fra Italia e Libia incentrato, a tutt’oggi, sul risarcimento chiesto da Tripoli dei cosiddetti danni di guerra. Dopo anni di promesse mancate, e dopo aver ottenuto in tutte le sedi legali competenti, comprese le Corti di giustizia libiche e la camera arbitrale di Parigi, il riconoscimento del loro credito e quindi del diritto a essere pagate, le imprese italiane, fra cui nomi di spicco del comparto costruzioni, hanno deciso di passare al contrattacco esercitando pressioni, in particolare sul ministero degli Esteri, affinché, a quasi trent’anni di distanza, venga finalmente trovata una soluzione. Con 34 di queste imprese dotatesi, sin dal gennaio del 2001, di una Associazione rappresentativa dei loro interessi, l’Airil (Associazione italiani per i rapporti italo-libici) presieduta da Leone Massa, le 120 aziende italiane si preparano a quello che potrebbe essere davvero il confronto decisivo. Alla vigilia di una probabile missione a Tripoli del presidente del Consiglio, nonché ministro degli Esteri ad interim, Silvio Berlusconi (viaggio che da più parti viene ipotizzato per fine mese), Airil ha presentato un dettagliato cahier des dolèances, che ha già fruttato alcuni risultati, ancorché contradditori. Dopo anni di totale silenzio, sulla vicenda dei crediti, (silenzio rotto solo da una decisa presa di posizione del presidente di Confindustria Antonio D’Amato, nel giugno del 2000) il 2 e il 3 ottobre scorso, anche a seguito di una serie di interrogazioni parlamentari favorite dall’invio del dossier Libia da parte di Airil a tutti i deputati e senatori, e dalla disponibilità di 50 di loro a seguire direttamente la vicenda, si è tornato a riunire a Tripoli un Comitato misto italo-libico incaricato proprio di affrontare il problema dei crediti, ancorché privo di Airil. Formalmente, dall’incontro di Tripoli non è scaturito alcun accordo scritto, anche se, in linea del tutto teorica, dovrebbe essere affidato alla Ali, una società mista italo-libica costituita per assicurare, sempre teoricamente, ai suoi soci una corsia preferenziale negli appalti pubblici libici, il compito di curare un rapporto sulla questione crediti e di entro novembre coordinandosi con l’Ubae (Unione banche arabe-europee) per quanto attiene sia il calcolo sull’ammontare degli interessi sia tutte le problematiche di rivalutazione crediti che sono pendenti, mediamente, ormai da circa trent’anni. Quanto sia complessa e politicamente spinosa la vicenda dei crediti in Libia è testimoniato anche dalle critiche che Airil ha rivolto nel suo dossier alla Farnesina è alla Sace, l’assicurazione pubblica dei crediti all’export. La prima accusata di aver consentito una riapertura metodica del contenzioso sui danni di guerra rivendicati dalla Libia, anche dopo la firma di accordi che avrebbero dovuto consentire di chiudere delle altre problematiche, incluse quelle relative ai crediti, su tavoli differenti. Alla Sace, invece, Airil contesta la chiusura “con sconto” di 1.400 miliardi, nell’ottobre del 2000, del suo contenzioso con la Libia e, indirettamente l’autorizzazione ricevuta, nell’agosto scorso, con delibera Cipe a firma del ministro Tremonti, a rilasciare per il 2002 garanzie sovrane per un miliardo di euro alle aziende italiane che operano in Libia, nonostante – come nota l’associazione - il rischio di insolvenza testimoniato dal mancato pagamento ad altre imprese italiane di debiti pregressi. Scelta, questa, in contrasto anche con le dichiarazioni dell’allora ministro degli Esteri, Renato Ruggiero, che nel settembre del 2001 aveva affermato che la definizione della questione crediti è prioritaria a qualsiasi accordo bilaterale.

 

 

 

 

 

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